Dopo l’elezione del settimo presidente francese, il 57enne François Hollande, in Africa sembra farsi strada un cauto ottimismo per i nuovi rapporti con l’ex potenza coloniale. Scorrendo le pagine della stampa africana, viene evidenziato come, diversamente dai suoi predecessori, Hollande non ha avuto contatti diretti con il continente. Questo aspetto lascia sperare in un superamento della cosiddetta Françafrique, come viene chiamato il sistema che interpreta le relazioni tra Parigi e le sue ex colonie africane.
La mancanza di rapporti diretti con la realtà africana costituisce una grande incognita ma al tempo stesso un punto di forza per il neo presidente, in quanto gli africani, in particolare quelli che vivono nei 17 paesi dell’Africa occidentale, storicamente, linguisticamente ed economicamente legati alla Francia, non hanno alcuno preconcetto negativo su Hollande.
La vittoria di un socialista alimenta inoltre speranze di cambiamento in questa parte dell’Africa, ma anche limiti e incertezze che rischiano di ipotecare trasformazioni significative per il continente. Certo è che gli interrogativi per il futuro sono tanti, sia per quanto riguarda la linea che il nuovo presidente attuerà nei prossimi cinque anni in materia di immigrazione, sia per le relazioni bilaterali finora globalmente ambigue e sbilanciate a favore di Parigi.
Sul futuro operato di Hollande nei riguardi dell’Africa (e non solo) pesa il fatto che la sua elezione è maturata in un contesto socio-economico molto difficile che lo porterà a cimentarsi con prove durissime. Per questo, il nuovo presidente francese verrà giudicato sui risultati che riuscirà ad ottenere, ma il punto focale della questione è sapere se riuscirà ad attuare ‘il cambiamento ora’, come recitava lo slogan della sua campagna elettorale.
Il Sud Quotidien, il giornale più diffuso in Senegal, nei giorni scorsi ha avuto un approccio prudente in merito al cambiamento ai vertici della Francia. Il quotidiano indipendente di Dakar è stato piuttosto tiepido nel commentare l’elezione di Hollande, ribadendo la necessità che il neopresidente imponga un drastico cambio di rotta nei rapporti diplomatici e misure correttive nel settore degli affari, per una maggiore giustizia economica a favore dell’Africa.
Del resto, se Sarkozy non ha suscitato grande entusiasmo nel continente nero, non è scontato che con i socialisti al potere i legami degli africani con Parigi diverranno migliori. L’ultima presidenza socialista, quella di Mitterand, costituì una delusione scaturita dal fatto che nel corso dei suoi due mandati, in nome della realpolitik, Le Florentin preferì la difesa degli interessi di parte e diede carta bianca a reti di potere ufficiose per tutelarli.
E’ comunque un dato di fatto che per la Quai d’Orsay, la politica africana è da sempre un laboratorio strategico privilegiato. Secondo l’ex Segretario generale dell’Eliseo Hubert Védrine, la Françafrique ha rappresentato uno dei pilastri di quel “consenso gollista-socialista” che ha cementato la politica estera transalpina durante la Quinta Repubblica. Storicamente, il suo sviluppo è legato alla figura di Jacques Foccart, ex partigiano e consigliere dell’Eliseo agli Affari africani e malgasci dal 1960 al 1974.
Monsieur Afrique, come era conosciuto oltralpe, è stato l’eminenza grigia che ha plasmato per quasi quarant’anni gli assetti politici del continente nero e ha fatto da cerniera tra la Francia e i dittatori che hanno detenuto il potere nelle ex-colonie, tutte refrattarie alla democrazia nonostante la tutela della Francia, culla dell’Illuminismo e figlia della Rivoluzione. Per ora c’è una sola certezza: quella che molti africani hanno tirato un sospiro di sollievo per la fine dell’era Sarkozy, giudicato un presidente dalla politica molto aggressiva, che in soli cinque anni di mandato ha lasciato una lunga scia di sangue sul continente.
La sua ingerenza negli affari interni dei paesi africani, in più occasioni sfociata in interventi militari con l’obiettivo di piazzare le società francesi, come Areva e Elf Total, ha destabilizzato e insanguinato l’intera regione dell’Africa occidentale e non solo, vedi il caso della Libia.
Per questo gli africani chiedono ad Hollande di porre rimedio ai danni causati nel continente dall’ex sindaco di Neuilly. Come ad esempio in Mali, dove è ormai comprovato che l’Eliseo ha infiammato la ribellione tuareg del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla), che ha conquistato il nord del paese insieme al gruppo Ansar Edden.
Inoltre, Parigi sta esercitando una certa influenza sulle decisioni della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao-Ecowas), basata sulla consapevolezza che la crisi nel grande paese del Sahel ha mostrato alcuni problemi di equilibrio interno nella principale organizzazione regionale dell’Africa Occidentale, che prima ha cercato il dialogo con i tuareg del Mnla e con i vari gruppi che affollano il nord, dove c’è una grave emergenza umanitaria. Poi, dopo il summit del 29 giugno scorso a Yamoussoukro, si prepara a un possibile invio in Mali di una forza d’intervento composta da circa 3.300 uomini.