Dopo che lo scorso febbraio aveva revocato una parte delle sanzioni comminate contro 35 alti funzionari dello Zimbabwe, l’Unione europea si è dichiarata pronta a sospendere la maggior parte delle misure restrittive nei confronti dei membri del governo di Harare. La condizione posta da Bruxelles è che il fragile esecutivo di unità nazionale, varato nel febbraio 2009 per scongiurare il rischio di una guerra civile, organizzi un referendum costituzionale credibile per preparare il terreno a elezioni democratiche.
Secondo fonti interne al Movimento per un cambiamento democratico (Mdc), il partito del primo ministro Morgan Tsvangirai, la consultazione diretta dovrebbe tenersi a ottobre, mentre Rugare Gumbo, portavoce del partito del presidente Robert Mugabe, l’Unione africana dello Zimbabwe-Fronte patriottico (Zanu-Pf), ha definito insensata la posizione di Bruxelles, poiché le sanzioni dovrebbero essere rimosse immediatamente e in maniera incondizionata, in quanto hanno un impatto negativo sull’economia dello Zimbabwe.
Peraltro, l’adozione di una nuova Costituzione è prevista nell’accordo di power sharing raggiunto nel settembre 2008 da Mugabe e Tsvangirai; il progetto però deve essere ancora discusso in Parlamento e approvato tramite il referendum che l’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Catherine Ashton, ha definito come “un’importante pietra miliare” verso la democrazia.
Del resto, Bruxelles dieci anni fa aveva imposto le sanzioni allo Zimbabwe in risposta alle elezioni farsa e al programma di redistribuzione delle terre, quello che aveva visto l’espropriazione dei terreni di proprietà dei white farmers. Ma soprattutto le aveva imposte con l’obiettivo di impedire che la popolazione subisse ulteriori danni come quelli provocati dalla cosiddetta “Operazione Murambatsvina”, lo smantellamento degli insediamenti precari avvenuto nel maggio 2005.
Un vero e proprio sgombero forzato di massa, che nel giro di poche settimane lasciò 700mila persone senza casa né mezzi di sussistenza ed inoltre allontanò migliaia di bambini e di adolescenti dalle loro scuole, che in alcuni casi furono abbattute. Come se non bastasse, numerose famiglie piombarono nella miseria a causa della distruzione delle loro case e delle loro fonti di reddito, come piccoli mercati e bancarelle. In questo modo, non riuscirono più a pagare le rette scolastiche, i materiali e il corredo.
C’è comunque da rilevare che le sanzioni europee costituiscono una soluzione intermedia, perché in realtà sarebbe stata più autorevole una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, alla quale Russia e Cina hanno in più occasioni messo il veto.
Ciononostante i provvedimenti intrapresi nell’arco degli ultimi dieci anni da Bruxelles hanno stretto il paese in una morsa estremamente efficace nel decretarne il progressivo isolamento e determinato l’importanza del ruolo rivestito dall’Europa dei Ventisette nella querelle politica dello Zimbabwe.
Tuttavia non dobbiamo dimenticare che Bruxelles ha agito in tal senso anche per sostenere gli sforzi della Comunità per lo sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc), il gruppo che riunisce i 14 paesi dell’area e che da tempo sostiene che una volta cambiato il regime, sarà molto importante supportare economicamente il nuovo governo.
Secondo Andrew Harding, corrispondente della Bbc per l’Africa, la nuova Costituzione dovrebbe rendere molto più difficile per i sostenitori dell’anziano presidente riuscire ad arrivare alle prossime elezioni. Questa, almeno, è la speranza dei militanti dell’Mdc, anche se la preoccupazione che i seguaci di Mugabe possano riuscire a far deragliare il processo democratico che a fatica si sta insinuando nel paese africano, però, è ancora molto forte.
Dalla sospensione delle sanzioni imposte nel 2002 che prevedono, in particolare, interdizione del visto e congelamento dei beni, trarrebbero beneficio oltre cento importanti personalità del mondo militare, politico, economico ed accademico dello Zimbabwe, ma le stesse sanzioni rimarrebbero comunque in vigore per il presidente Mugabe.
Le misure restrittive furono emanate dieci anni fa, come ritorsione ad accertati brogli nelle elezioni e a ripetute violazioni dei diritti umani culminate con gravi episodi di violenza politica che si sono ciclicamente manifestati nei periodi elettorali.
L’abolizione delle restrizioni rivestirebbe sicuramente una certa importanza, in un momento in cui l’ex granaio dell’Africa australe sembra aver compiuto progressi significativi per fronteggiare la crisi economica che l’ha colpito. Una crisi drammatica che in buona parte è scaturita dalla cattiva gestione del presidente Mugabe.