Ogaden: la guerra a bassa intensità tra Etiopia e Onlf

Nella regione meridionale dell’Ogaden, da quasi venti anni, il governo etiope sta combattendo una guerra a bassa intensità contro il suo stesso popolo. Cominciato nel 1984, il conflitto ha conosciuto un’escalation nell’aprile del 2007, quando gli uomini del Fronte di liberazione nazionale dell’Odagen (Onlf), a maggioranza somala, attaccarono un’installazione petrolifera cinese nella regione, provocando 74 vittime.

Da allora, le milizie del paese del Corno d’Africa hanno lanciato varie offensive per spazzare via la resistenza dell’Onlf, senza ottenere risultati significativi. Nell’ottobre 2010, per fronteggiare la minaccia dei ribelli separatisti, Addis Abeba ha siglato un accordo di pace con la fazione maggioritaria dell’Ofln fedele a Salahdin Abdulrahman Ma’ow, ma l’intesa, ritenuta “irrilevante” dalla restante parte del gruppo ribelle, non ha avuto lunga durata e dallo scorso gennaio sono riprese le ostilità.

Per dare un nuovo impulso ai negoziati, lo scorso 6 e 7 settembre a Nairobi, il governo di Addis Abeba e i rappresentanti dell’Onlf, hanno avviato nuovi colloqui di pace con la mediazione del ministro degli Interni keniano Yusuf Haji. Entrambe le parti coinvolte rivendicano la volontà politica di porre fine al conflitto. Dal canto suo, il portavoce dell’esecutivo etiope Bereket Simon, ha definito l’iniziativa “un passo avanti positivo” ma senza fornire ulteriori dettagli sull’argomento.

Anche se ufficialmente i colloqui sono frutto di mesi di negoziato, come riferito dalle due parti, la recente morte dell’ex primo ministro Meles Zenawi – definita dall’Onlf “un’opportunità per un nuovo inizio” – potrebbe aver fornito una spinta decisiva all’iniziativa. Nella realtà dei fatti questo conflitto, le cui principali vittime sono i civili, non ha mai avuto una tregua duratura. Mentre nel periodo compreso tra la fine del 2007 e la prima metà del 2008, ripetute denunce sono state formulate da organizzazioni umanitarie e associazioni per i diritti civili contro il governo etiope per i crimini di guerra commessi nella regione.

In alcuni casi, come quelli dei rapporti stilati dall’Associazione per i popoli minacciati e da Human Rights Watch, le accuse furono documentate con immagini satellitari di esecuzioni sommarie e villaggi bruciati dai militari. Gli attivisti dell’organizzazione newyorchese misero in luce anche numerosi casi di violenze sessuali, torture e detenzioni arbitrarie.

Secondo Human Rights Watch, i civili furono giustiziati con l’intento di infliggere una punizione collettiva ad una popolazione sospettata di essere simpatizzante dei ribelli. Il blocco commerciale imposto dal governo federale sulla regione ha avuto come risultato una massiccia carenza di prodotti alimentari, costringendo la popolazione ad abbandonare le proprie case. Quasi tutti i traffici di merci dal Somaliland per l’Ogaden e viceversa sono stati banditi.

Senza contare, che il governo di Zenawi aveva vietato l’accesso a giornalisti e operatori umanitari nella regione ed espulso dall’Ogaden la Croce rossa internazionale, accusata di favoreggiamento nei confronti dei ribelli dell’Onlf. Stando ai loro report, le organizzazioni umanitarie indipendenti rimaste sul campo tentano con molte difficoltà di raggiungere i civili che hanno un disperato bisogno di assistenza.

La questione ogadena sembra essere ancora irrisolta, mentre le restrizioni commerciali, i divieti imposti agli operatori umanitari di accedere alla regione, gli abusi di cui sono accusate le Forze armate etiopi e le attività militari dei ribelli rendono estremamente dura la vita della popolazione, costretta ad abbandonare le proprie case in cerca di cibo.

Anche se i movimenti di lotta dell’Ogaden paiono frammentati, non costituendo di conseguenza un pericolo diretto per il governo di Addis Abeba, restano particolarmente influenzabili. Le minacce maggiori per gli etiopi potrebbero giungere dall’intreccio delle istanze politiche di tali gruppi con le strategie di altri attori della regione.

Con simili presupposti, mantenere un certo grado di stabilità nell’Ogaden resta per l’Etiopia un obiettivo di fondamentale importanza, non solo per il pericolo di infiltrazione di gruppi armati, ma anche per i cospicui interessi economici che gravitano intorno ai territori a maggioranza somala, come risulta da uno studio condotto dal ministero delle Miniere etiope e dalla compagnia petrolifera malese Petronas, che ha individuato proprio nella regione dell’Ogaden il più importante bacino di estrazione degli idrocarburi.

La Petronas aveva acquistato le prime concessioni per l’esplorazione e l’estrazione di petrolio nel 2005, subappaltandole successivamente alla Weatherford, con sede a Dubai. La Weatherford era stata chiamata in causa dalla Petronas per sostituire la cinese Zhonguyuan Petroleum, decisa a rinunciare al subappalto a seguito degli attacchi dell’Onlf dell’aprile del 2007.

Gli incidenti si sono ripetuti nel tempo e l’ultimo risale allo scorso aprile, quando un geologo britannico della compagnia canadese Tesla-Imc International è stato ucciso a colpi di pistola nei pressi di Danot, mentre operava degli studi sismologici per conto di Petronas. Non tutti gli incidenti sembrano però essere riconducibili alla guerriglia dell’Onlf, ma la situazione in Ogaden ha continuato ad essere particolarmente critica fino al maggio del 2010, quando Petronas, che nel 2007 aveva ampliato le concessioni di esplorazione di gas con il governo Zenawi, portando il totale degli investimenti ad una cifra pari a 1,9 miliardi di dollari, ha deciso di sospendere il lavoro per problemi di sicurezza.

Ad approfittare dell’uscita di scena di Petronas è arrivata la SouthWest Energy, compagnia etiope con sede a Hong Kong, che nell’ottobre di due anni fa decise di acquisire tutti e cinque i Production Sharing Agreements (PSAs) che regolavano l’attività offshore della compagnia malese. Ed il caso ha voluto che l’accordo arrivasse qualche giorno prima che venissero siglati i trattati di pace tra il governo Zenawi e la fazione dell’Onlf fedele a Ma’ow.

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