Mentre negli Stati Uniti prende corpo il piano di riforma dell’immigrazione, allo studio da parte di un gruppo bipartisan di otto senatori americani, in Europa la gestione dei flussi migratori continua a sottoporre a forte pressione le istituzioni di Bruxelles. Nondimeno, tale questione riveste uno dei temi più delicati per l’Italia, che come gli altri paesi europei meta di immigrazione, sta tentando di arginare gli arrivi indiscriminati per giungere ad una ricomposizione dei flussi adottando principalmente politiche restrittive come quelle relative ai ricongiungimenti familiari.
A questa misura si aggiungono il controllo dei nuovi arrivi e il contrasto dell’immigrazione clandestina in base agli accordi di collaborazione con alcuni paesi della sponda sud del Mediterraneo, siglati allo scopo di prevenire l’affluenza di maree umane intenzionate a correre qualsiasi rischio pur di lasciarsi alle spalle realtà di miseria estrema.
I governi dell’Europa occidentale hanno elaborato modelli specifici per affrontare una delle sfide più complesse del terzo millennio. Il ruolo che ogni singolo paese ha offerto all’immigrazione rappresenta una peculiarità nei processi di consolidamento e riaffermazione delle singole identità nazionali. Si passa dal multiculturalismo inglese all’assimilazionismo francese, per arrivare all’integrazionismo della minority policy olandese ed al modello mediterraneo spagnolo, basato sul riconoscimento del peso dell’Islam nella storia e nella cultura iberica.
L’Italia, quarto membro dell’Unione europea per il numero di stranieri residenti che secondo i dati dell’Istat superano i 4,5 milioni di presenze, ha conosciuto l’immigrazione come fenomeno sociale da poco più di trent’anni e, a differenza della Gran Bretagna, della Francia, della Spagna e dei Paesi Bassi, non ha acquisito una consolidata esperienza nei rapporti con le colonie. Per questo non ha mai avuto nella sua memoria collettiva riferimenti che si rifacessero alle relazioni interetniche. Dopo essere stata un importante paese di emigrazione, con 24 milioni di espatri dal 1876 al 1976, si è trovata di colpo con uno status invertito ed ha iniziato a ricevere flussi di immigrati.
Questo dato storico è un elemento fondamentale per capire l’approccio italiano al fenomeno dell’immigrazione, che sembra ragionare più su un criterio tradizionale di assimilazionismo e multiculturalismo comunitario, che in favore di politiche di inclusione sociale e mediazione culturale. Allo stesso modo, è importante riconoscere che acquisita la consapevolezza di essere un paese di immigrazione stabile, l’Italia è diventata un laboratorio molto meno condizionato dalle esperienze del passato, come invece è il caso dei paesi sopracitati e di altri Stati membri, che hanno dovuto constatare i limiti dei loro modelli.
Nella sostanza è evidente che ormai gli immigrati costituiscono parte integrante del nostro tessuto sociale ed è proprio sulla base di questo fattore che è necessario lavorare per costruire una società inclusiva e aperta al pluralismo, consapevoli del fatto che una convivenza fruttuosa dipende dallo sforzo di capirsi a vicenda e di adattarsi gli uni agli altri. Senza dimenticare, che nella delicata questione dell’immigrazione incide anche l’aspetto economico, che costituisce un ulteriore criterio di valutazione importante per intuire la necessità di considerare gli immigrati come soggetti attivi e partecipi nella società che li ha accolti.
Secondo uno studio condotto dalla Fondazione Leone Moressa, da più di dieci anni impegnata nella ricerca scientifica rivolta ai fenomeni migratori, in Italia le 454mila imprese condotte da stranieri contribuiscono alla creazione del 5,5% del valore aggiunto nazionale. Un potenziale economico tutt’altro che trascurabile, in tempi di recessione come quelli che stiamo vivendo, che potrebbe rappresentare la marcia in più per il rilancio di tutto il sistema produttivo nazionale.
Inoltre, in un paese come il nostro, dove la popolazione continua ad invecchiare (i dati Istat prevedono un aumento particolarmente accentuato di ultra 65enni, oggi pari al 20,3% del totale e destinato nel 2043 ad oltrepassare il 32%), dove dal 2008 il tasso di natalità è in continua flessione, mentre il tasso di fecondità rimane stabile solo perché sostenuto dalle donne straniere, le buone politiche di gestione del fenomeno migratorio potrebbero contribuire significativamente ad ottenere risultati economici positivi per l’Italia. Anche alla luce di questi dati, è evidente che il fenomeno dell’immigrazione, se governato attraverso provvedimenti adeguati e lungimiranti, lontani da paure per il “diverso”, costituisce una risorsa e non solo un problema o finanche una minaccia.
Al di là dell’aspetto economico, l’immigrazione può arricchire le società europee anche da un punto di vista culturale. Questo potenziale positivo può però essere sfruttato solo grazie all’acquisizione di una mentalità basata sul reciproco adattamento e su un concetto di integrazione diverso rispetto a quello proposto nel passato, che permetta a noi e agli immigrati di convivere stabilmente.
Una sorta di laboratorio, in cui sia i paesi di immigrazione di vecchia data sia quelli di nuova immigrazione siano chiamati a costruire, anche con il contributo degli immigrati, un nuovo modello di convivenza, più europeo e meno calibrato sulle esigenze del singolo Stato comunitario.
Possono mai essere una risorsa rifugiati politici che vengono qua a fare la pacchia con vitto alloggio e vari privilegi pagati dai contribuenti?
Sapete quanto ci costano al giorno? 80 €, e ciò la trovo un assurditá, per il semplice motivo che stanno tutto il giorno a fare la vita di Galasso, magna bevi e vai a spasso, e intanto hanno computer, abiti firmati, Iphone e smartphone d’ultima generazione. E non venite a dirmi che lavorano perché ci credo ben poco.
Con questo commento assolvo chi viene qua per lavorare e per fare una vita onesta, non chi viene qua a fare il parassita.
Per ultimo e molto importante, fate una legge chiara sull’immigrazione grazie.
Niente da aggiungere, ha già detto tutto Francesco.
Se va avanti così non occorre aver studiato sociologia per capire che le tensioni aumenteranno, guardate cosa sta succedendo in questi giorni in Svezia, forse il paese più accogliente del mondo per gli immigrati….
Io vedo tanta tantissima gente che viene in Italia o in generale nel ricco Occidente, solo per una questione di benessere, ma di vera voglia di integrarsi e soprattutto di rispettare la nostra cultura millenaria neanche l’ombra.
Peccato che oltre ai diritti ci sono anche i doveri.
Abbiamo una disoccupazione al 12% oramai, ed è in aumento in tutta Europa. Se apriamo le frontiere e facciamo entrare chiunque è chiaro che senza un lavoro si dà alla delinquenza (in primis droga, prostituzione ma anche furto e ricettazione)
Ai tempi del comunismo nell’Europa Orientale quei governi, per garantire a tutti i cittadini i beni importanti (sanità, alloggio, lavoro, ecc), nel quadro di una vita sociale ordinata adottarono in tema di
frontiere leggi restrittive e le facevano rispettare seriamente. Esempio: giovani della Repubblica Democratica Tedesca, dopo essersi laureati in medicina a spese della collettività, volevano fare “marameo” ai coetanei operai o minatori e trasferirsi all’estero per guadagnare di più. Ma i documenti
necessarî (passaporto, visto, ecc ) non venivano loro concessi. Allora i più spavaldi cercavano di eludere o di forzare il blocco alla frontiera. Senonché, non trovavano Bossi e Maroni che li
accompagnavano a un centro d’accoglienza: c’era solo la polizia popolare, efficiente e inflessibile,
e gli ambiziosi giovanotti o tornavano immediatamente indietro per essere ammanettati
e condotti in prigione, oppure finivano fucilati sul posto. Ma oggi in Italia molti non ricordano, e
credono che gli xenofili o xenomani, come papa Bergoglio o Laura Boldrini, siano comunisti! Essi
sono in realtà reazionarî terribili, i quali, caldeggiando l’ingresso in Italia di centinaia di milioni di persone, operano (il primo, consciamente; la seconda, da irresponsabile) per il trionfo del liberismo e il collasso dei pubblicî servizî e dello stato sociale. Grazie.