Parlando di crescita economica nel continente africano è da prendere in considerazione il caso dell’Angola. L’ex colonia portoghese sta vivendo un momento straordinario certificato dalla quinta posizione nella classifica dei paesi che hanno registrato una maggiore crescita nell’Indice di sviluppo umano (Hdi) 2013, secondo la classifica annuale redatta dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.
Stando ai dati del rapporto, l’Hdi dell’Angola nel biennio 2010-2012 è cresciuto del 2,56% ed i progressi più importanti sono stati annotati nel campo dell’educazione e della salute con l’aspettativa di vita passata da 48 a 51,5 anni. Ed è inoltre ufficialmente cominciato, in occasione della 59esima sessione a Ginevra del Comitato per il commercio e lo sviluppo dell’Unctad (la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo), il processo che porterà nel 2015 l’Angola a uscire dalla lista delle 48 nazioni con i più bassi indicatori di sviluppo socio-economico a livello mondiale.
Nell’esaminare il fenomeno della crescita economica di uno dei paesi più ricchi dell’Africa sub-sahariana va ricordato che dopo l’indipendenza dal Portogallo, ottenuta nel luglio 1975, l’Angola è stata teatro di una guerra civile che per 27 anni ha visto contrapporsi l’Mpla, sigla del Movimento popolare per la liberazione dell’Angola, guidato dall’attuale presidente José Eduardo Dos Santos, e l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola, meglio nota come Unita, guidata da Jonas Savimbi.
Il lungo conflitto ha inevitabilmente inciso in maniera negativa sul contesto economico, creando instabilità, iperinflazione, la distruzione delle infrastrutture, la fine dell’autosufficienza alimentare e la conseguente dipendenza dalle importazioni e dagli aiuti umanitari.
Sulla base di tali premesse lo sviluppo economico dell’Angola assume ulteriore valenza e rende ancora più significativi i dati sulla crescita del Pil, che tra il 2005 e il 2012 ha fatto registrare un incremento medio superiore al 12%, con il progresso della differenziazione economica e l’aumento della parte non relativa al comparto del greggio pari al 35% del totale. Quest’ultimo dato si collega anche ad un più alto tasso di occupazione, con significativi incrementi in agricoltura e nell’industria estrattiva non petrolifera.
Nel contesto è rilevante anche la riduzione del tasso di inflazione, che lo scorso anno si è attestata sotto al 10%, dopo lunghi anni di elevata crescita dell’andamento dei prezzi. Per avere un’idea del progresso registrato in tal senso, è sufficiente ricordare che l’anno successivo alla fine della guerra civile il tasso d’inflazione era pari al 98%. Ad influire in maniera significativa nel processo di crescita del paese è stato anche il potenziale agricolo, sicuramente tra i più elevati dell’Africa centrale.
Altro fattore che ha inciso in maniera determinante sulla crescita del paese lusofono è costituito dalle sue immense ricchezze naturali che gli hanno consentito di diventare il quarto produttore al mondo di diamanti e il secondo produttore africano di petrolio, dopo la Nigeria. L’Angola sembra ormai avere tutte le carte in regola per diventare un attore molto importante nello scenario economico continentale.
L’esecutivo di Luanda ha dato prova di saper capitalizzare in maniera molto rapida le opportunità offerte dallo sfruttamento delle risorse nazionali, grazie alle quali ha potuto beneficiare di ingenti flussi di capitali e appoggi esteri. Nonostante tutti questi progressi, l’Angola resta uno dei paesi africani con la più alta percentuale di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà e con il più alto numero di mortalità infantile.
Nemmeno l’aumento della spesa sociale è servito a mutare sostanzialmente le profonde disuguaglianze che invece di diminuire sembrano acuirsi con il crescere del Pil. Non a caso, uno dei primi impegni assunti dal governo dell’Mpla e dal presidente dos Santos dopo la vittoria alle elezioni dello scorso settembre, riguarda proprio l’aumento del reddito pro capite e il dimezzamento, entro il 2015, del numero delle persone che vivono in condizioni di povertà. Tra i piani varati dall’esecutivo anche il progetto di stabilizzazione macroeconomica programmato sino al 2025 che indica come settori prioritari lo sviluppo rurale, quello minerario non petrolifero, le infrastrutture, il manifatturiero, la formazione e la sanità.
Il paese africano è anche costretto a fare i conti con il fenomeno generalizzato delle spese disinvolte e con un alto tasso di corruzione, che trascina l’Angola nei bassifondi dell’ultimo Corruption perception index (Cpi) di Transparency International, posizionata al 157esimo posto su 174. Un elemento che ha dunque inciso negativamente sulla ripartizione delle ingenti entrate economiche, che non hanno portato alla creazione di un benessere diffuso, ma estremamente circoscritto.
E’ evidente che l’Mpla che ora detiene il potere è ben diverso dall’organizzazione di combattenti che ha sconfitto l’Unita e che dos Santos ha guidato contro l’invasione post-coloniale delle multinazionali occidentali. Ma non è neanche più il partito che si aggiudicò le legislative del 1992 e neppure quella creatura politica nata dalle idee di libertà e giustizia di Agostinho Neto, il poeta che negli anni sessanta diede vita al movimento indipendentista angolano di cui fu leader incontrastato.
Oggi il presidente dos Santos è a capo di un establishment che non ha mai distribuito la ricchezza e che da 33 anni è alla guida di un paese dalle contraddizioni estreme. Dopo undici anni dalla fine della guerra civile gli angolani avrebbero dovuto vedere qualche beneficio, ma le baraccopoli intorno a Luanda continuano ad essere fogne a cielo aperto. A questo punto, è lecito chiedersi se l’Mpla sarà in grado di pensare alla politica come mezzo per risolvere i problemi ed onorare lo slogan della campagna elettorale: “Crescere di più e distribuire meglio”.