Da tempo l’Africa ha individuato nei biocarburanti una concreta opportunità di sviluppo economico. Per questo motivo, negli ultimi anni si è registrato un forte aumento degli investimenti per la produzione e il commercio su larga scala di questi combustibili liquidi, mentre gli investitori occidentali hanno già stanziato milioni di dollari per avviare la produzione di bioetanolo e biodiesel in diverse aree del continente, che sembrano la terra promessa per questo tipo di coltivazioni.
I nuovi carburanti avrebbero il vantaggio di determinare un impatto ambientale più basso rispetto ai prodotti ricavati dalla lavorazione dei combustibili fossili ma al tempo stesso penalizzano le colture destinate ad uso alimentare, aggravando la fame nei paesi sottosviluppati ed aumentando il prezzo dei beni di prima necessità nel resto del mondo, come dimostra uno studio dello Joint Research Centre, istituto di ricerca di proprietà dell’Unione europea, che ha rilevato che entro il 2020 le politiche di Bruxelles sui biocarburanti potrebbero far crescere il prezzo degli oli vegetali del 36%, del granturco del 22%, del grano del 13% e dell’olio di semi del 20%.
Sulla questione pesa anche il taglio indiscriminato delle foreste per far spazio alle coltivazioni estensive destinate alla produzione di biocarburanti. Una pratica che può portare ad un rilevante incremento delle emissioni di gas nocivi, come già accaduto in Indonesia. Il maggior utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, insieme all’aumento dei consumi idrici e al rischio di coltivazioni di Ogm, consigliano di prestare molta attenzione sulla convenienza dei combustibili verdi.
Senza dimenticare che buona parte del mondo scientifico ha più volte denunciato l’incoerenza ecologica dell’utilizzo dell’etanolo come carburante per automobili. In primo luogo le monoculture estensive hanno un effetto devastante dal punto di vista climatico: le precipitazioni infatti si riducono e si concentrano nel tempo, dando luogo a grandi tempeste di pioggia concentrate in piccoli periodi dell’anno. C’è poi da mettere in preventivo che le monoculture possono provocare l’abbattimento della biodiversità animale e vegetale nelle regioni in cui vengono praticate.
Nel continente africano c’è già chi comincia a prendere le dovute cautele per commisurarsi con l’arrivo degli investitori stranieri nel settore dei biocarburanti. E’ il caso degli agricoltori della Tanzania che in risposta all’operato del governo, a loro parere colpevole di aver adottato una strategia che penalizza le fattorie, hanno organizzato un corso destinato ai produttori locali su come investire in carburante verde.
Jean Ziegler, relatore speciale delle Nazioni Unite per l’alimentazione, ha ripetutamente puntato il dito nei confronti dei paesi occidentali che promuovono i cosiddetti biocarburanti provenienti da terreni agricoli, in passato destinati alla produzione alimentare. La critica del sociologo svizzero dovrebbe indurci a riflettere sul fatto che la bioenergia può seriamente compromettere la sicurezza alimentare e danneggiare l’ambiente.
Anche James Smith, direttore dell’Accademia per lo Sviluppo globale e direttore pro tempore del Centro Studi africani dell’Università di Edimburgo, nutre non poche perplessità sull’utilizzo dei biocarburanti fino a considerare ipotetici scenari di conflitti sociali e dipendenza economica.
Alcune recenti ricerche pongono l’accento proprio su questo aspetto e si pongono il problema delle conseguenze sulla società africana, soprattutto in merito all’uso come materia prima della jatropha, una pianta originaria dell’America centrale appartenente alla famiglia delle Euforbiacee.
La jatropha può presentarsi come un piccolo albero o un alto cespuglio che può raggiungere i sei metri di altezza e può crescere su terreni marginali caratterizzati da un basso livello di fertilità. Al contrario di quello che talvolta si legge nei bollettini divulgativi dei produttori, non è selvatica e non si riproduce naturalmente: deve essere piantata tenendo presente che non può crescere a temperature inferiori ai 14 gradi centigradi, ma è fortemente adattabile e la raccolta è assicurata anche in condizioni climatiche molto asciutte.
La pianta non è commestibile per gli esseri umani e non può essere destinata nemmeno a foraggio per gli animali dato il suo elevato livello di tossicità determinato dalla presenza di sostanze molto simili a quelle contenute nell’olio di ricino (“curcin” e “diterpine”). I suoi semi contengono circa il 30-38% di olio utilizzabile come comune combustibile in motori diesel opportunamente progettati previa una semplice filtrazione, oppure trasformabile in biodiesel tramite un processo di transesterificazione ed impiegabile in tutti i motori alimentati a gasolio senza alcuna modifica specifica.
La jatropha è una delle colture più finanziate e diffuse in Africa, anche se è risultata essere di gran lunga la meno adatta in molte regioni marginali africane per possibili ripercussioni negative di carattere economico e ambientale. Tali considerazioni dovrebbero frenare le esagerate aspettative sulla coltivazione di questo arbusto, sia in termini di possibilità di differenziazione del mix energetico che di volano per lo sviluppo rurale di comunità agricole povere nei paesi africani.