Nel 2013 l’economia dell’Africa sub-sahariana continuerà a crescere sostenuta dalla domanda domestica. E’ questa la previsione contenuta nell’ultimo World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale, pubblicato lo scorso aprile, che rileva come la regione, sorretta dallo slancio dei consumi privati e dagli investimenti, così come dall’export, proseguirà lungo il trend di espansione, che prosegue dal 2005 e interrotto solo nel 2009.
Gli esperti dell’istituto di Washington stimano attorno al 5,5% la crescita dell’area per l’anno in corso e ritengono che nel 2014 sarà ancora più alta fino al 6%. “Una crescita generalizzata – spiega il rapporto – basata sul significativo incremento dei continui investimenti in infrastrutture e sulla capacità produttiva, oltre che sul sostegno dei consumi e sull’avvio di nuove attività estrattive”.
I dati contenuti nello studio dell’Fmi testimoniano una realtà in grande trasformazione che negli ultimi anni ha compiuto sensibili progressi, ottenendo risultati incoraggianti tanto sul piano della crescita economica che su quello della stabilizzazione politica.
L’Africa odierna è in netta controtendenza con i fallimenti economici e politici che fino all’alba del nuovo secolo hanno caratterizzato il continente. Il reddito pro capite è aumentato di oltre il 30% negli ultimi anni e diversi indicatori, nonostante la congiuntura economica sfavorevole che sta interessando le economie occidentali, inducono a dare un giudizio positivo sulle future performance economiche dell’area sub-sahariana.
Secondo l’Economist, nei prossimi venti anni il reddito pro capite aumenterà di un altro 10%, mentre si stima che nella prossima decade il Pil crescerà al ritmo medio del 6% annuo, contro molti paesi del vecchio mondo in recessione. E questo non solo a causa degli investimenti esteri passati dai 15 miliardi di dollari del 2002, ai 37 del 2006 ai 46 miliardi del 2012.
Un recente studio della società di consulenza finanziaria Thomas White International evidenzia come alla crescita dell’economia dell’Africa sub-sahariana abbiano contribuito i processi di riforma fiscale e le politiche monetarie varate da diversi paesi dell’area. A partire dal 2000 fino ad oggi circa 30 stati africani sono riusciti a sistemare i debiti mentre l’inflazione è calata mediamente all’8% rispetto al 22% degli anni novanta.
Il risultato è che ultimamente il continente nero è stato caratterizzato da un crescente afflusso di capitali, dal calo della disoccupazione, dall’aumento degli investimenti e da una maggiore fiducia da parte degli operatori finanziari.
La ricerca rileva come tutti questi elementi abbiano contribuito a una crescita guidata sia dagli investimenti esteri sia dai consumi interni. Nel decennio fra il 2001 e il 2010 sei delle dieci economie che sono cresciute di più al mondo sono state africane e spinto da questo nuovo corso nel 2011 il Ghana, con un +14,4%, è stato il paese con la crescita maggiore a livello globale. Mentre i capitali stranieri sono passati dai nove miliardi di dollari del 2000 ai 55 miliardi di oggi grazie all’arrivo di società di private equity, aziende statali straniere e produttori di beni di consumo.
Non a caso, l’intera area è da tempo al centro dell’interesse degli investitori di tutto il mondo e non stupisce che negli ultimi 18 mesi la Cina abbia firmato trattati bilaterali con trenta stati africani. Per non restare indietro Stati Uniti, India, Brasile e alcuni paesi europei hanno siglato altri accordi e hanno iniziato a creare aziende che producono esclusivamente per gli africani più ricchi.
La posizione dell’Africa nell’economia mondiale sta suscitando notevole interesse anche da parte della stampa internazionale, che non manca però di sottolineare come il continente africano sia ancora sostanzialmente un esportatore di materie prime e risorse energetiche. Questo perché l’Africa sub-sahariana è tra le aree mondiali più ricche di risorse naturali e di materie prime energetiche.
Grazie a questa ricchezza e a seguito dell’elevato ritmo di crescita dei prezzi delle commodities, negli ultimi anni il continente ha visto crescere notevolmente gli introiti e migliorare le proprie ragioni di scambio
Non possiamo però omettere che sugli effetti a lungo termine della ricchezza delle materie prime è in corso un intenso dibattito, sviluppatosi di recente tra gli economisti che reputano l’abbondanza di risorse naturali apportatrice di difficoltà per i paesi che ne dispongono.
Tra di essi l’autorevole economista francese Alice Nicole Sindzingre, che in più occasioni ha spiegato come in alcuni contesti tale abbondanza finirebbe per impedire la diversificazione del modello di specializzazione, bloccando lo sviluppo delle attività manifatturiere nascenti.
Quest’ultima possibile incidenza necessita una seria riflessione in un’area dove la maggior parte dei paesi non ha ancora raggiunto le condizioni per una crescita economica durevole e per sviluppare autonome capacità di gestione e prevenzione dei conflitti.
Non dobbiamo nemmeno farci trarre in inganno dalle cifre di una crescita economica senza sosta che non porta progresso e dalle ricadute positive, che interessano in grandissima parte solo la classe benestante della popolazione. Ed anche il lento lievitare della classe media rimane un processo limitato e molto al di sotto di quelle che sarebbero le potenzialità della regione.
E’ chiaro che per cambiare tutto questo occorre un impegno a livello governativo dei paesi africani maggiormente interessati dallo sviluppo economico. Un impegno volto a promuovere l’unità e consolidare gli assetti democratici, che, oltre a favorire e incrementare gli scambi commerciali, possa anche consentire la riduzione dell’elevato numero di Stati del continente che sono ancora in fondo alla lista dei paesi meno sviluppati.