Epa, ultimatum dell’Ue a sette paesi africani

A sei anni dall’approvazione degli Accordi di partenariato economico (Epa–Economic Partnership Agreements), l’Unione europea ha rivolto un ultimatum a sette paesi dell’Africa sub-sahariana minacciando di sospendere le condizioni di favore previste da tali Accordi per le loro esportazioni, se non ratificheranno un pacchetto di intese commerciali di stampo liberista. La notizia è riportata su Africa Review, che spiega come il parlamento di Bruxelles per la ratifica degli Epa abbia dato tempo a Botswana, Namibia, Camerun, Ghana, Costa d’Avorio, Kenya e Swaziland fino all’ottobre 2014.

Se entro tale data non ci sarà un via libera definitivo alle intese transitorie sottoscritte tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, Palazzo Léopold reintrodurrà tariffe doganali sulle esportazioni dei paesi africani. Una misura del genere penalizzerebbe diversi settori economici, colpendo tra l’altro le produzioni di banane, tonno, carni e zucchero.

L’intesa siglata sei anni fa dai paesi europei con i 77 paesi che allora costituivano il Gruppo Africa, Caraibi, Pacifico (Acp) aveva sostituito gli Accordi di Cotonou, firmati nel giugno 2000 e giudicati inammissibili (secondo l’articolo XXIV del Gatt) dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) perché implicavano una forma di discriminazione nei confronti degli altri paesi in via di sviluppo.

Proprio in questi giorni, il nuovo segretario generale del Gruppo Acp, il ghanese Alhaji Muhammad Mumuni, è tornato a criticare gli Epa spiegando che sulla base di questi accordi di libero scambio gli Stati africani sono incoraggiati a commerciare con l’Unione europea ma non tra di loro.

I negoziati per gli Accordi di partenariato economico iniziarono ufficialmente il 27 settembre 2002, dopo che l’allora Commissario al Commercio estero dell’Unione, Pascal Lamy, ottenne l’approvazione delle linee guida da parte dei paesi comunitari per dare vita ad aree di libero scambio fra l’Unione europea e i paesi Acp, suddivisi in diversi raggruppamenti regionali, ed hanno eliminato “sostanzialmente” tutti i dazi doganali e le barriere non tariffarie sulle merci importate ed esportate fino al 2023.

Tali accordi hanno smantellato il Sistema europeo delle preferenze generalizzate (Spg) non reciproche precedentemente in vigore per i paesi Acp. Tale sistema consentiva l’ingresso dei prodotti di questi paesi nel mercato europeo a condizioni agevolate.

Gli Epa hanno permesso l’apertura totale dei mercati attraverso l’eliminazione di tutte le barriere alla libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. La fine di questo meccanismo e l’applicazione della reciprocità negli scambi Ue-Acp ha segnato l’aumento delle esportazioni dei paesi comunitari europei nei mercati del Sud del Mondo, peraltro già agevolate dalla politica dei sussidi attualmente in vigore in Europa che ha causato ingenti danni alle produzioni locali dei paesi Acp.

Un anno prima dell’approvazione degli Epa, l’allora ministro del Commercio della Nigeria Aliyu Modibbo Umar si interrogava sul fatto che se 30 anni di libero accesso al mercato Ue senza vincolo di reciprocità non avevano migliorato la situazione economica dei paesi Acp, come poteva un accordo di reciprocità produrre risultati migliori?

Nella pratica l’aumento dell’accesso al mercato ha comportato la riduzione o la cancellazione delle tasse doganali in modo da non penalizzare i fornitori esteri nella competizione con quelli locali. Inoltre, ha pure eliminato le cosiddette barriere non tariffarie costituite da regolamenti sanitari, fitosanitari, etichettature, controlli e quant’altro fosse ritenuto un ostacolo agli scambi.

Un’apertura reciproca, ovvero le facilitazioni di cui fino ad allora avevano beneficiato gli esportatori dei paesi Acp vennero offerte anche a quelli europei. E’ facile quindi intuire quale dei due blocchi avesse la più vasta scelta di prodotti da esportare.

La Commissione europea ha sempre promosso gli Epa come un gesto di generosa apertura del proprio ricco mercato alle  esportazioni dei paesi Acp. Ma in verità ciò non è accaduto poiché il mercato era già aperto e ben poche erano le tariffe che ostacolavano l’ingresso in Europa delle merci esportate dall’area Acp.

Sei anni dopo l’introduzione degli Epa sembra molto difficile pensare questi Accordi commerciali come strumenti di crescita, poiché i fatti hanno dimostrato che si limitano a stabilire la liberalizzazione del mercato delle merci senza concretizzare alcuna misura di aiuto allo sviluppo.

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