Senza dubbio, la notizia sullo Swaziland apparsa un paio di settimane fa su Afriquinfos appare piuttosto bizzarra. Non è infatti usuale leggere che l’autorità dell’aviazione civile di un paese disponga il divieto di volare oltre i 150 metri di altezza per le le scope delle streghe (che nella locale lingua swati vengono chiamate sangomas). L’informazione, riportata qualche tempo fa dall’emittente televisiva locale The Star, è stata rilanciata lo scorso 7 giugno dal sito francofono, confermando quanto il piccolo regno australe sia suscettibile alla stregoneria.
E’ quantomeno insolito che le sangomas siano considerate come qualsiasi altro mezzo di trasporto aereo. E altrettanto singolare è il fatto che non verrà applicata alcuna multa se le streghe voleranno al di sotto del limite di 150 metri. Insomma, se appartenete a quella categoria di esseri soprannaturali di aspetto femminile dedita a riti o incantesimi è meglio che non andiate nello Swaziland. E nel caso decideste di farlo volate basso!
Dall’ex protettorato britannico giungono però anche altre notizie meno bizzarre, che raccontano di violazioni di diritti umani, in un paese in cui partiti politici e sindacati sono stati banditi quaranta anni fa, dall’allora re Sobhuza II. Da lungo tempo, nella piccola enclave africana l’opposizione chiede riforme democratiche che l’attuale sovrano Mswati III non sembra disposto a concedere, mentre la Commissione dell’Unione africana continua a guardare con occhio critico la struttura amministrativa dello Swaziland, ricordando che il divieto di formazione di partiti politici rappresenta una chiara violazione degli articoli 11 e 13 della Carta africana dei Diritti dell’uomo e dei popoli.
In questo momento, sotto la stretta osservazione dell’organizzazione di Addis Abeba, c’è anche il sistema elettorale swazi, in virtù del fatto che il governo di Mbabane, a pochi mesi dal ritorno alle urne, previsto per il prossimo ottobre, sembra non avere alcuna intenzione di garantire elezioni trasparenti e democratiche con il divieto di partecipazione per l’opposizione, a cui si aggiungono intimidazioni, violenze e censure pre-elettorali.
I timori della Commissione dell’Ua sono insiti nella concreta possibilità di ripetere ciò che accadde nelle votazioni del 2008, quando gli osservatori internazionali furono concordi nel valutare le elezioni come lontane dagli standard internazionali e regionali dell’Africa meridionale, a causa di scarso rispetto dei diritti politici, vulnerabilità a manipolazioni e forti condizionamenti durante le operazioni di voto.
Da notare che l’Unione europea, all’epoca, neanche si preoccuperò di inviare osservatori, dichiarando che il sistema elettorale soffriva di evidenti difetti che ne pregiudicavano la trasparenza. Il deficit democratico rimane dunque un tema di grande rilevanza per comprendere le dinamiche operanti nell’ultima monarchia assoluta dell’Africa sub-sahariana, guidata da un sovrano più volte criticato per il suo sfarzoso stile di vita, mentre da più di cinque anni il tasso di disoccupazione è inchiodato al 40% e circa il 70% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.
Secondo gli ultimi dati del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), l’Indice di sviluppo umano (Hdi) dello Swaziland si colloca al 141º posto (0,536), ma la crescita economica continua a oscillare, aggravata dall’incapacità del governo di creare nuovi posti di lavoro che possano soddisfare tutte le domande di coloro che intendano immettersi nel mercato dell’occupazione.
Questa situazione è scaturita anche dalla rilevante crescita della popolazione che rappresenta una sfida per lo sfruttamento delle risorse naturali e la capacità dello Stato di fornire adeguati servizi sociali, come cure sanitarie ed educazione. Mentre negli ultimi anni l’economia del paese africano ha subito un netto peggioramento a causa di fattori interni ed esterni che hanno avuto forti ripercussioni su un sistema economico già in difficoltà.
Secondo alcuni osservatori internazionali, la gestione delle risorse pubbliche nel regno è poco oculata, per questo motivo molti economisti hanno definito il governo del re Mswati III una cleptocrazia, evidenziando il carattere personalistico della gestione della cosa pubblica da parte del monarca assoluto. Dobbiamo anche tener presente che la maggior parte della popolazione swazi vive nelle aree rurali, sempre più spesso colpite da lunghi periodi di siccità che contribuiscono a produrre innumerevoli casi di malnutrizione e crisi alimentari.
L’economia swazi dipende in larga parte dal Sudafrica, da cui, secondo l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), riceve circa l’86% delle sue importazioni e verso cui sono dirette il 67% delle esportazioni, che riguardano soprattutto pasta di legno, zucchero, frutta e suoi derivati.
Negli ultimi anni, anche il Fondo monetario internazionale (Fmi) si è occupato ripetutamente di questa piccola nazione africana proponendo sempre le solite soluzioni: riduzione delle spese statali, aumento del prelievo fiscale, incentivo all’industria privata per rilanciare la produzione. Senza dimenticare, che la scarsa produzione agricola, i continui periodi di siccità, il declino degli investimenti nazionali ed esteri, l’alto costo dei commerci e i bassi indici di governance e democrazia impediscono l’attivazione di nuovi progetti stranieri.
E’ importante sottolineare che lo Swaziland presenta un contesto interno molto simile al Lesotho, altra piccola enclave del Sudafrica. I due paesi hanno molto in comune sia dal punto di vista geografico sia per la radicata presenza dell’Aids, che anche qui costituisce una piaga sociale. A differenza dello Swaziland, il Lesotho, però, è riuscito a sviluppare un’economia che permette allo Stato di sostenersi ed essere autosufficiente attraverso lo sfruttamento della più grande risorsa interna, importantissima in quest’area geografica: l’acqua. Questo ha permesso al piccolo Stato africano di sviluppare una propria indipendenza economica, facilitata anche da un contesto politico interno che, dopo la crisi del 1998, è andato stabilizzandosi.