Due giorni fa è stato presentato per la prima volta in Italia, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il Global Peace Index (Gpi) curato dall’Institute for Economics and Peace (Iep) di Sydney che prende in esame il clima pacifico di 162 paesi e li classifica in base all’analisi di 22 indicatori di performance.
Gli indicatori vanno dal livello delle spese militari alla partecipazione di conflitti esterni, oppure dalla percentuale di detenuti rispetto alla popolazione fino alla valutazione dei rapporti con i paesi vicini.
Come lo scorso anno, gli Stati più pacifici al mondo rimangono Islanda, Danimarca e Nuova Zelanda. Per quanto riguarda i paesi chiave dell’Unione europea, la Germania occupa il 15esimo posto, l’Italia il 34esimo, piazzandosi così prima di Gran Bretagna e Francia, rispettivamente 44esima e al 53esima a livello mondiale.
Tra i big del Vecchio continente l’Italia purtroppo registra la performance peggiore in termini di pace interna, vale a dire di sicurezza della società. Ad esempio il crimine violento e l’accesso alle armi da fuoco sono significativamente più elevati rispetto a Francia, Germania e Gran Bretagna.
In questo l’Italia riflette un trend globale: il mondo è divenuto meno pacifico rispetto al 2012, e questo non lo si deve solo alla recrudescenza delle guerre in Afghanistan e in Siria, ma anche e soprattutto a causa del deterioramento della pace in molti paesi.
In particolare, le misure di pace e sicurezza interna sono peggiorate a partire dal 2008, anno in cui è esplosa la grande crisi economico-finanziaria che in molti paesi ha prodotto una sensibile diminuzione in termini di sicurezza interna.
Ma stando agli autori del Global Peace Index, le cose sembrano andar meglio a sud del Sahara. “Nel suo complesso – scrivono i ricercatori – nel 2012 l’area sub-sahariana è stata più in pace del Medio Oriente, del Nord Africa, dell’Asia meridionale, della Russia e dell’Eurasia”.
Il miglioramento è spiegato anzitutto con dinamiche economiche. “La crescita dei paesi sub-sahariani – si sottolinea nel rapporto – ha superato negli ultimi due anni quella di qualsiasi altra regione, favorita per assurdo dalla tradizionale marginalizzazione dell’area che l’ha protetta dalle conseguenze della crisi finanziaria globale”.
In fondo alla graduatoria dell’area sub-sahariana ci sono Somalia, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana, tutti e tre ancora adesso ostaggio di conflitti armati e violenze. L’Africa è però molto altro, come confermano i buoni piazzamenti delle Isole Mauritius, del Botswana e della Namibia, ma anche i progressi di vicini storicamente difficili.
Il giudizio generale non impedisce ai ricercatori di riconoscere come in diversi paesi dinamiche economico-sociali o tensioni di carattere politico, abbiano messo la pace più a rischio che in passato.
È il caso del Burkina Faso, dove l’aumento del costo della vita e l’inadeguatezza dei servizi garantiti dallo Stato sono stati all’origine di manifestazioni e disordini; senza ddimenticare la Repubblica Centrafricana, dove lo scorso anno c’erano già gli ingredienti della crisi sfociata a marzo nella destituzione del presidente François Bozizé.
Al di là di questa e altre situazioni di conflitto, le tendenze riscontrate a sud del Sahara risaltano anche alla luce delle difficoltà politiche ed economiche a livello mondiale.
Secondo il Global Peace Index, tra il 2008 e il 2012 nei cinque continenti la pace è “diminuita” del 5%. Una regressione alla quale hanno contribuito i combattimenti e gli attentati in Somalia, ma anche e soprattutto la guerra in Afghanistan e il conflitto civile cominciato in Siria nel 2011.
Di sicuro, la violenza non ha solo conseguenze umanitarie ma comporta dei costi quantificabili in circa 10mila miliardi di dollari. Un onere quasi equivalente all’11% del Pil mondiale, stimato 9460 miliardi di dollari.
Vale a dire che riducendo l’insicurezza del 50% saremmo in grado, tra le altre cose, di ripagare il debito dei paesi in via di sviluppo e anche finanziare il patto di stabilità europeo.
Nella sostanza l’indice si basa su un’idea semplice, ma allo stesso tempo decisiva: la pace è un fenomeno multidimensionale, non riducibile alla sola assenza di guerre e di conflitti tra Stati, ma è pervasiva nella vita di ampi settori della collettività influenzando l’economia di un territorio.
Per questo l’esame dei contenuti del Global Peace Index determina una riflessione più profonda sulla natura della pace e sulla sua capacità di modificarsi nel tempo, indispensabile per elaborare strumenti e politiche che mettano al sicuro le nostre società da ulteriori peggioramenti.