Costa d’Avorio, Gbabo resta in carcere

Laurent Gbabo al momento dell’arresto nell’aprile 2011

L’ex presidente ivoriano Laurent Koudou Gbagbo dovrà rimanere nel carcere della Corte penale internazionale (Cpi) in attesa dell’apertura di un eventuale processo. Lo ha deciso all’unanimità la Camera di appello dell’istituzione giuridica dell’Aia, confermando il provvedimento emesso lo scorso luglio dalla Prima camera preliminare dello stesso Tribunale. Detenuto da quasi due anni, Gbgabo è accusato di crimini contro l’umanità durante la crisi elettorale seguita alle elezioni presidenziali dell’ottobre 2010.

Una crisi finita sei mesi più tardi in un bagno di sangue costato la vita a tremila persone. La ricostruzione dei fatti indica che dopo aver vinto al primo turno, Gbagbo fu pesantemente sconfitto al ballottaggio da Alassane Dramane  Ouattara, ottenendo il 45,9% dei consensi contro il 54,1% del suo avversario.

Il presidente uscente si rifiutò di lasciare il potere e fece in modo che il Consiglio Costituzionale, organismo strettamente legato alla presidenza, invalidasse le schede di sette sezioni elettorali del nord, corrispondenti al 13% degli aventi diritto al voto. In virtù di questo stratagemma fu dichiarato vincente con il 51,45% dei consensi.

Pochi giorni dopo, entrambi i presidenti organizzarono due diverse cerimonie di giuramento e formarono due governi, gettando l’ex colonia francese in una lunga fase di stallo.

Le Nazioni Unite, gli osservatori elettorali e la comunità internazionale furono unanimemente concordi nel ritenere Ouattara il legittimo vincitore delle elezioni, condannando le resistenze di Gbagbo che, non cedendo né alle rivendicazioni interne né alle pressioni esterne, determinò il riaprirsi del conflitto all’interno del paese africano.

Dopo tre mesi di sporadici combattimenti, a fine marzo 2011 le forze fedeli ad Alassane Ouattara lanciarono un’offensiva e occuparono quasi tutte le zone controllate dalle forze fedeli a Laurent Gbagbo.

All’inizio di aprile, i soldati della missione delle Nazioni Unite Unoci (United Nations Operation in Côte d’Ivoire) e il contingente francese Licorne bombardarono l’artiglieria schierata dalle truppe fedeli a Laurent Gbagbo, che il 10 aprile fu tratto in arresto e consegnato in seguito alla Corte penale internazionale.

Secondo un rapporto diffuso da Amnesty International, le forze di sicurezza filo-Gbabo sarebbero ree di aver compiuto esecuzioni extragiudiziali e dell’arresto arbitrario di persone durante manifestazioni, sia per le strade che nelle loro abitazioni. Alcune di queste sono state vittime di sparizioni forzate, la maggior parte era dioula, un termine generico per designare coloro che hanno nome musulmano o che provengono dal nord della Costa d’Avorio.

L’organizzazione umanitaria punta il dito anche contro le Forze repubblicane della Costa d’Avorio (Forces républicaines de Côte d’Ivoire – Frci), fedeli a Ouattara, che avrebbero ucciso e torturato sostenitori reali o presunti di Laurent Gbagbo, specialmente nell’ovest del paese.

Finora la Cpi ha spiccato mandati di cattura anche nei confronti della moglie di Gbabo, Simone Ehivet, e del leader dei Giovani patrioti, l’ex ministro Charles Blé Goudé, arrestato in Ghana nel gennaio di quest’anno. Anch’essi, come l’ex presidente ivoriano, sono detenuti e in attesa di essere processati nel loro paese.

A più riprese, il Fronte popolare ivoriano (Fpi), il partito di Gbagbo oggi principale forza di opposizione, ha chiesto la scarcerazione del suo leader. Dalla fine della crisi del 2011 oppositori e diversi osservatori accusano il governo ivoriano di attuare una “giustizia dei vincitori”.

Dal canto suo, il procuratore della Cpi, la gambiana Fatou Bensouda, ha invitato “gli ivoriani ad avere fiducia nella giustizia che segue il suo corso” e assicurato che “le indagini andranno avanti per tutte le vittime, qualunque sia la loro appartenenza etnica o politica”.

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