Dal luglio 2010, Martino Melli è il direttore dell’Unità tecnica locale della Cooperazione italiana allo sviluppo presso l’Ambasciata italiana di Nairobi. L’Ufficio di cui è responsabile ha la competenza per tre paesi dell’Africa orientaele: Kenya, Somalia e Tanzania, dove realizza progetti di emergenza e sviluppo in vari settori, tra cui quello prioritario dell’approvvigionamento idrico, l’istruzione e la sanità. Gli abbiamo rivolto alcune domande per approfondire quello che sta facendo in questa parte dell’Africa.
Quando ha avuto inizio la cooperazione italiana in Kenia?
L’inizio dell’attività risale agli anni Ottanta, esattamente ai tempi della costituzione del “Fondo aiuti italiani”, istituito nel 1985, con una dote di 1900 miliardi di lire dell’epoca da spendere in due anni per l’assistenza di oltre tre milioni di persone minacciate dalla fame, dalla denutrizione e dal sottosviluppo in Africa sub-sahariana. Ricordiamoci che era il tempo della grande carestia che colpì l’Africa orientale, in particolare l’Etiopia, provocando un milione di morti.
Quali sono al momento i progetti che vedono il diretto coinvolgimento della cooperazione italiana nel paese africano?
Abbiamo adottato una linea innovativa di cooperazione allo sviluppo incentrata su un programma decennale, basato sull’Accordo di conversione del debito tra Kenya e Italia, firmato a Nairobi nel gennaio 2007. L’intesa prevede un programma decennale di conversione debitoria per un importo totale di circa 44 milioni di euro, pari cioè a quasi la metà del debito contratto dal Kenya con l’Italia. In virtù dell’accordo, il governo keniano si è impegnato a versare in un apposito fondo dieci rate annuali di circa 4,4 milioni di euro ciascuna, da destinarsi al finanziamento di iniziative per ridurre la povertà nelle aree più depresse del paese. A riguardo, Nairobi ha espresso più volte apprezzamenti nei confronti di una forma di cooperazione unica per il paese, capace di offrire un contributo concreto alle politiche di lotta alla povertà intraprese dal governo centrale. Posso affermare con una certa soddisfazione che tramite questo programma, la Cooperazione italiana ha assunto un ruolo primario nel settore della formazione professionale rispetto al concerto dei donatori. Un ruolo sostenuto anche dal fatto che l’Italia è il primo e unico paese ad aver sottoscritto un accordo di questo genere con il governo di Nairobi.
Sul web c’è la possibilità di essere aggiornati sulle attività della Utl?
Sì, certamente, lo scorso settembre, a tale proposito abbiamo aperto la pagina Facebook Cooperazione Italiana Kenya Somalia.
In qualità di esperto dell’Africa orientale e del Corno d’Africa, come giudichi l’escalation terroristica che sta interessando l’area, culminata con l’attacco al Westgate mall di Nairobi dello scorso settembre?
Quello del Westgate mall è stato il peggior attacco terroristico in Kenya, dopo quello portato a termine nell’agosto 1998 contro l’Ambasciata statunitense a Nairobi. L’alto livello di preparazione militare e logistica che i miliziani di al Shabaab hanno dimostrato prima e durante l’attacco, preoccupa non poco le autorità locali, che da due mesi a questa parte sono in massima allerta nel tentativo di evitare il ripetersi di simili tragici eventi. Sicuramente uno scenario di alto rischio da monitorare costantemente, tenendo presente che l’efferato episodio potrebbe avere pesanti ripercussioni anche sull’industria turistica del paese africano, un business di decine di milioni di dollari che vale il 12 per cento dell’economia nazionale.
Potresti indicarci qualche letterato keniano per aiutarci a conoscere meglio la complessa realtà del continente africano?
Negli ultimi tempi ho avuto modo di leggere un testo dello scrittore keniano Binyavanga Wainaina: One Day I Will Write About This Place: A Memoir. L’opera è appunto un memoir, in cui l’autore per raccontare le proprie esperienze più che ai ricordi reali, fa riferimento alle emozioni vissute. Quindi, una vera e propria memoria emotiva con venature di fiaba africana, dove Wainaina descrive in maniera forte e decisa l’immagine di un continente nuovo in piena trasformazione, che non avverte alcun senso di inferiorità verso le altre culture. Davvero un bel libro che consiglio di leggere per capire meglio l’odierna realtà dell’Africa, tanto più che di recente è stato anche tradotto in italiano e pubblicato da una casa editrice di Roma.
In quali altri paesi hai lavorato, prima di andare a dirigere l’Unità tecnica locale di Nairobi?
Ho lavorato in decine di paesi in Africa, Medio Oriente, Europa dell’Est e America centrale, ma le esperienze più lunghe le ho avute nello Yemen, India, Mozambico, Angola, Nicaragua e Guatemala.
Torni spesso in Italia e che effetto ti fa sentirti di nuovo a casa?
Un paio di volte l’anno e quando torno sono contento di poter riabbracciare le mie radici, ma avverto anche un senso di tristezza perché mi accorgo che l’Italia si sta depauperando in modo severo. Questo mi procura grande rammarico perché amo profondamente il mio paese e vivendo all’estero ritengo di avere una visione più lucida e distaccata delle difficoltà che sta vivendo a livello economico, politico e sociale. Sembra incredibile che un paese in grado esprimere un enorme potenziale umano e intellettuale come l’Italia si trovi nella situazione attuale.
Cosa ti manca in particolare del nostro paese?
Le consuetudini e il linguaggio. Infatti, ogni volta che faccio ritorno in patria mi piace molto conversare con i miei connazionali e riappropriarmi del meraviglioso suono della nostra lingua.