A quattro anni esatti dal sisma del 7° grado della scala Mercalli che provocò oltre 220mila morti, 300mila feriti e la devastazione di Haiti, la situazione è ancora molto difficile, come dimostrano le stime dell’Avsi, l’ong italiana impegnata nei soccorsi e nella ricostruzione sin dai primi giorni dopo il terremoto. Secondo l’Avsi, da quindici anni sempre attiva in condizioni difficilissime nell’isola caraibica, oltre 170mila haitiani sono ancora sfollati e 600mila sopravvivono in condizioni di insicurezza alimentare.
La maggior parte di essi non ha ancora accesso a elettricità o acqua potabile. Il tutto in un contesto segnato dalla decrescita economica e dal rischio di nuove epidemie, mentre ancora si registrano più di 50mila infezioni di colera ogni anno.
Purtroppo, tutte le condizioni che facevano di Haiti uno degli Stati più poveri al mondo sono ancora presenti, nonostante i nove miliardi di dollari di aiuti e donazioni arrivati dall’estero dopo il terremoto, una cifra superiore all’intero prodotto interno lordo del paese caraibico.
Così, il sostegno dei donatori che poteva essere assolutamente vitale per ridare futuro a un paese in ginocchio, non ha riscattato dalla povertà la popolazione di quella che un tempo era chiamata la Perla dei Caraibi.
Per questo, è molto spiacevole rilevare che anche in questo caso di intervento umanitario è praticamente impossibile conoscere in quale maniera siano stati impiegati i fondi. Malgrado il varo della piattaforma Iati (International Aid Transparency Initiative) per assicurare una maggiore trasparenza nell’arrivo a destinazione e nell’utilizzo degli aiuti, a oggi non è ancora possibile stabilire con precisione quanti e quali progetti di ricostruzione abbiano fallito.
Vijaya Ramachandran e Julie Walz del Center for Global Development nel maggio 2012 hanno stilato un dettagliato rapporto dall’eloquente titolo “Dove sono finiti tutti i soldi stanziati per Haiti?”. Leggendolo si capisce come la destinazione d’uso dei fondi per la ricostruzione risulti molto vaga e difficile da interpretare, ma nella sostanza è chiaro che solo una piccola parte dei fondi stanziati dai donatori è stata assegnata a progetti edilizi.
E’ assolutamente vero che Haiti é un paese povero con gravissimi ritardi, ma è altrettanto vero che in alcune occasioni, in termini di efficienza la cooperazione internazionale non si é mostrata all’altezza della sfida. Troppo spesso le organizzazioni internazionali e non governative operano in maniera frammentata o si sovrappongono, anche a causa della scarsa capacità del governo centrale di coordinarle.
In teoria, i donatori dovrebbero rispettare le indicazioni della Dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti, che prevedono che ciascuna organizzazione operi nel settore in cui le sue competenze sono maggiori. Nella realtà, però, ciascuna opera direttamente sul campo, privando spesso lo Stato del controllo necessario e della capacità di gestione che servirebbe a pianificare i progetti di sviluppo.
Inoltre, Haiti paga il pegno di una grande instabilità politica che l’ha fortemente penalizzato nel tempo, nonostante sia stato il primo paese dei Caraibi a diventare indipendente dalla Francia nel 1804 e la prima repubblica governata da un nero: lo schiavo liberato Toussaint Louverture.
Questi primati positivi non hanno purtroppo portato fortuna al paese che negli anni successivi all’indipendenza è stato teatro di trentadue colpi di stato. Tra il 1888 e il 1915, nessun governo è riuscito a restare in carica per i sette anni del proprio mandato. Haiti è stata poi occupata dagli Stati Uniti, fortemente interessati alla posizione geostrategica del paese, tra il 1915 e il 1934.
I governi che sono seguiti all’occupazione americana non hanno conseguito risultati migliori: dopo ventinove anni della brutale tirannia di François Duvalier, noto con il nome di Papa Doc, e di suo figlio Jean-Claude, alias Baby Doc, terminata nel 1986, neanche la presidenza di Jean-Bertrand Aristide ha portato la sospirata stabilità.
Il suo governo è stato caratterizzato da un’atmosfera di corruzione che in breve tempo l’ha delegittimato agli occhi dei sostenitori interni e internazionali, in primis gli Stati Uniti. Nel 2004 una sanguinosa rivolta, cui si accompagna l’intervento americano, ha decretato la fine del potere dell’ex prete delle bidonville.
Dal 2011 il paese è formalmente governato dall’ex cantante Michel Martelly, ma, di fatto, è amministrato dalla comunità internazionale attraverso la moltitudine delle agenzie di aiuti umanitari presenti nel paese e la Minustah, la missione di pace delle Nazioni Unite.
In questa situazione, la ricostruzione non può che passare per l’unità d’intenti, la cooperazione e la solidarietà. Ma è anche necessario un impegno massiccio, continuato e coordinato, in particolare da parte della cooperazione internazionale, accompagnato da una presa di coscienza dei dirigenti haitiani, da troppo tempo agli ultimi posti nel ranking mondiale in materia di trasparenza, riguardo alla responsabilità della quale sono investiti.