Il presidente ugandese firma la legge anti gay

Protesters outside Ugandan embassy in central London in 2009Nonostante le aspre critiche sollevate dai paesi occidentali e da numerosi gruppi impegnati nella tutela dei diritti umani, il presidente Yoweri Museveni, ha firmato la controversa legge anti gay approvata il 23 dicembre scorso dal Parlamento dell’Uganda, che prevede pene che possono arrivare fino a 14 anni di carcere per le persone condannate per la prima volta e l’ergastolo per il reato di cosiddetta “omosessualità aggravata”.

Quest’ultima riguarderebbe i casi di persone condannate più volte per rapporti omosessuali tra adulti consenzienti, nonché i responsabili di atti sessuali con minorenni, disabili o persone infettate dal virus Hiv. La normativa rende anche obbligatoria la denuncia delle persone Lgbt. Il testo originariamente prevedeva la pena di morte per i casi ritenuti più gravi, ma questo punto è stato successivamente rimosso a seguito delle pressioni della comunità internazionale.

Alcuni paesi europei hanno minacciato di tagliare gli aiuti per l’Uganda e pochi giorni fa il presidente Usa Barack Obama aveva chiesto a Museveni di non firmare la legge, affermando che la normativa avrebbe complicato le relazioni di Kampala con Washington. Mentre il premio Nobel per la pace, Desmond Tutu, non ha esitato a paragonare il provvedimento anti gay alle leggi liberticide che vigevano in Sudafrica durante l’apartheid.

Inizialmente, il presidente ugandese si era opposto al provvedimento, dichiarandolo troppo severo, anche se al tempo stesso aveva definito i gay delle persone “anormali” che dovrebbero essere “riabilitate”. Tuttavia, la scorsa settimana, Museveni aveva affermato che secondo un team di scienziati ugandesi non ci sono prove che l’omosessualità sia una condizione genetica e aveva invitato il governo americano ad aiutare i ricercatori locali a stabilire “se veramente ci siano persone che nascono omosessuali”. Se questo sarà confermato, aveva detto, potremo rivalutare la legge.

Gli attivisti gay ugandesi, già in passato oggetto di minacce sia verbali che fisiche di gruppi omofobi, hanno espresso grande preoccupazione e hanno aspramente criticato la legge sottolineando come Museveni abbia preso tale decisione senza mai incontrare neanche una persona omosessuale. Secondo il trentatreenne Frank Mugisha, presidente dell’associazione Smug (Sexual Miorities Uganda), che si batte da sempre con coraggio per veder riconosciuti uguali diritti alle persone Lgbt, con l’entrata in vigore della nuove misure, che puniscono anche la propaganda omosessuale, c’è il rischio che nel paese si instauri un clima di ulteriore intolleranza e discriminazione.

Senza dimenticare che gli omosessuali in Uganda sono spesso vittime di molestie e minacce di violenza, con le organizzazioni dei diritti umani che hanno denunciato anche stupri “correttivi” ai danni delle lesbiche. Il provvedimento ha riscosso ampio consenso in tutta l’Uganda, dove molti religiosi cristiani e politici affermano che sia necessario impedire agli omosessuali occidentali di “reclutare” bambini ugandesi, ma importanti organizzazioni come Amnesty International e il Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights, che si battono per i diritti umani delle minoranze di tutto il mondo, sono d’accordo nel ritenere che la nuova legge viola i diritti fondamentali delle persone Lgbt.

Museveni, che è un devoto cristiano evangelico, all’inizio di questo mese ha firmato una legge contro la pornografia, vietando la presenza in televisione di persone vestite in modo non appropriato e monitorando le attività su internet dei cittadini. In molti paesi africani, con l’eccezione del Sudafrica, l’omosessualità è vietata e duramente punita. L’Uganda è però diventato il primo Stato del continente ad introdurre la pena dell’ergastolo. In altri Stati, come la Nigeria, le pene arrivano a un massimo di 14 anni. Nelle zone in cui vige la shaaria, come le aree sotto il controllo delle milizie shebaab in Somalia, l’omosessualità è punita con la pena di morte.

Un continente alla rovescia se rapportato alla maggioranza dei paesi occidentali, dove invece il movimento Lgbt guadagna –  anche se a rilento – spazi sempre più ampi di libertà e movimento. Come dimostra il provvedimento varato alla fine di dicembre dalla Corte Suprema del New Mexico, che ha stabilito l’incostituzionalità di negare la licenza di matrimonio a coppie dello stesso sesso, legalizzando le nozze gay e diventando così il 17esimo Stato degli Usa dove sono legittimi i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

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