Molte speranze sono state riposte nella firma dell’ultimo dei sei accordi per riportare la pace in Sud Sudan, siglato lo scorso 8 novembre ad Addis Abeba dal presidente Salva Kiir Mayardit e dall’ex vicepresidente, ora capo dell’opposizione armata, Rieck Machar Teny. Tanto che l’etiope Seyom Mesfin, capo dei negoziatori dell’Igad (Autorità intergovernativa per lo sviluppo), l’organizzazione regionale impegnata nel tentativo di trovare una soluzione alla crisi, è convinto che questa volta la tregua non sarà violata.
Una convinzione basata sul fatto che le conseguenze per ambo le parti sarebbero insostenibili, visto che in caso di ripresa delle ostilità sono previste dure sanzioni e “misure punitive” per i responsabili.
Ma tutti i precedenti accordi di pace sono stati ripetutamente infranti sia dalle forze governative che dai ribelli e il rischio che anche quest’ultimo sia disatteso è sempre latente. Lo dimostra il fatto che già poche ore dopo la firma, dal Sud Sudan giungevano notizie di ripetuti attacchi in spregio al nuovo impegno di cessate il fuoco, mentre le ultime ostilità risalgono allo scorso 26 novembre, quando il gruppo ribelle guidato da Machar, ha accusato le truppe governative fedeli al presidente Kiir di aver sferrato un’offensiva contro le loro postazioni di Fangak, contea nello stato di Jonglei.
Stando ai fatti, la strada verso una soluzione della crisi sud sudanese sembra ancora coperta da ostacoli di diverso genere, ma forse la preoccupazione maggiore viene proprio dalle dichiarazioni del capo mediatore dell’Igad, che lasciano intendere come la tenuta dell’intesa sia dovuta più alla minaccia di gravi ripercussioni che ad una volontà genuina di porre fine agli scontri.
Gli ultimi mesi di guerra civile hanno infatti dimostrato quanta poca importanza entrambe le parti riservino ai trattati e anche alla stessa minaccia di sanzioni. E’ dunque da vedere se l’accordo raggiunto ad Addis Abeba sarà in grado di porre fine a un conflitto che ha già provocato decine di migliaia di vittime.