La prevista decisione della Commissione elettorale nazionale indipendente della Nigeria (Inec) di rinviare di sei settimane il voto del 14 febbraio è stata ufficialmente motivata con l’impossibilità di assicurare il dispiegamento dei soldati nei seggi, mentre l’esercito è impegnato nel tentativo di mettere in sicurezza la zona nord-orientale del paese africano, parte della quale è sotto il controllo del gruppo islamista Boko Haram. Non c’è alcun dubbio, che nella situazione attuale milioni di persone potrebbero essere private di esercitare il diritto di voto mentre i miliziani jihadisti continuano a controllare gli Stati del nord-est di Borno, Yobe e Adamawa.
La motivazione addotta dal governo federale per posticipare la data delle elezioni lascia però spazio a molte considerazioni. Prima fra tutte: il rafforzamento della sicurezza non è l’unico fattore che ha indotto Abuja a rinviare il voto. E’ ormai evidente che il paese più popoloso dell’Africa stia attraversando uno dei momenti più cruciali da quando, nel 1960, ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Tanto che l’autorevole settimanale Economist nella sua analisi sul rinvio delle elezioni l’ha definito “una polveriera pronta ad esplodere”.
Tra le ulteriori motivazioni che hanno spinto Abuja alla discussa decisione ci sono anche evidenti problemi organizzativi emersi nelle ultime settimane, come gli imbarazzanti ritardi accumulati dall’Inec nella distribuzione delle nuove tessere elettorali ai circa 68 milioni di aventi diritto.
Di certo, come scritto in un commento pubblicato su Africa News and Analysis, queste elezioni sono ritenute le più aperte e combattute dalla fine dei regimi militari nel 1999. Una sfida all’ultimo voto che secondo gli ultimi accreditati sondaggi, vede il presidente uscente Goodluck Jonathan e l’ex generale settantaduenne Muhammadu Buhari appaiati con circa il 42% dei consensi, distribuiti piuttosto equamente tra le due metà del paese.
Jonhatan, piuttosto impopolare per gli insuccessi nella lotta contro la corruzione e gli islamisti di Boko Haram, è cristiano e gode del consenso delle regioni più prospere del sud a maggioranza cristiana. Buhari, invece, è forte nelle regioni settentrionali, dove è concentrata la popolazione musulmana ed è appoggiato dal partito Congresso di tutti i progressisti (APC), fondato nel 2013 e radicato anche nel sud petrolifero.
I leader dell’APC hanno definito il rinvio delle elezioni “un grave colpo per la democrazia” che contribuirà a minare ulteriormente la già scarsa fiducia dei nigeriani in un processo elettorale libero e regolare. Un clima di scetticismo generale che potrebbe alzare il livello di tensione tra i sostenitori dei due candidati.
Secondo padre Hyginus Aghaulo, responsabile delle comunicazioni sociali della diocesi di Nnewi, il rinvio del voto ha paradossalmente rafforzato i dubbi e accresciuto i timori ed è impossibile prevedere oggi se la nuova data del 28 marzo sarà rispettata, perché le variabili in gioco sono troppe. Prima tra tutte la minaccia costituita dagli islamisti di Boko Haram, le cui incursioni e attentati hanno costretto oltre un milione di persone a lasciare le proprie case. In realtà, sembra molto difficile immaginare che i problemi di sicurezza possano essere risolti in appena sei settimane, se non sono bastati cinque anni per contrastare l’espansione della setta fondamentalista.
Il rinvio del voto potrebbe avere serie conseguenze anche sull’economia nigeriana, che lo scorso aprile ha superato quella del Sudafrica diventando la più grande del continente, grazie al rebasing, cioè la procedura di aggiornamento del metodo e dei dati utili per calcolare il Pil, mai variati dal lontano 1990.
Certamente l’economia nigeriana non è cresciuta soltanto grazie agli artifici statistici. Lo prova il fatto che negli ultimi 15 anni ha mantenuto una delle crescite reali più sostenute del mondo, ma dall’inizio dello scorso maggio ad oggi la naira, la valuta locale, ha perso il 30% del suo valore e diversi economisti hanno già cominciato a tagliare le previsioni di crescita del paese per il 2015. E la decisione di posticipare le elezioni, a prescindere dalla sua giustificazione, potrebbe danneggiare ulteriormente un’economia già sofferente, a causa del repentino calo del prezzo del petrolio.
L’agenzia di stampa Reuters, citando la Borsa di Lagos, ha rilevato che nel 2014 gli investitori stranieri hanno venduto titoli nigeriani per un valore di 846,5 miliardi di naira (4,5 miliardi dollari). Un sell off superiore del 65% all’anno precedente, influenzato dalla crescente incertezza del mercato nigeriano in vista delle elezioni che ha spinto gli operatori a vendere le loro azioni in uno scenario economico sempre più volatile. E nelle prossime settimane, in conseguenza del rinvio elettorale, potrebbero esserci altri disinvestimenti.
Senza contare, che, il mese scorso, il colosso bancario statunitense JP Morgan ha annunciato che nel corso dei prossimi tre-cinque mesi potrebbe rimuovere la Nigeria dal Government Bond Index (GBI-EM) a causa della mancanza di liquidità sul Forex e sui mercati obbligazionari, dovuta alla diminuzione delle entrate derivanti dall’export petrolifero e alla vendita di riserve di valuta straniera per frenare il forte deprezzamento della moneta locale.
L’eventuale rimozione del paese africano dall’indice GBI-EM costringerà i grandi gestori dei fondi d’investimento a svendere le obbligazioni nigeriane per eliminarle dai loro portafogli, causando un notevole deflusso di capitale. Una simile eventualità eleverebbe gli oneri finanziari per la Nigeria, le cui risorse sono già state messe a dura prova dalla notevole diminuzione del prezzo del petrolio.
In pratica, il rinvio del voto quasi certamente acuirà le attuali difficoltà economiche della nazione, che dovrà dissipare al più presto i dubbi che gravano sul possibile imminente svolgimento delle elezioni, dall’esito delle quali sarà possibile cominciare a capire se Abuja sarà in grado di rimuovere la nube di incertezze che sta offuscando i recenti successi della più grande economia dell’Africa.