La più grave epidemia di ebola che abbia mai colpito l’Africa è scomparsa dalle prime pagine dei quotidiani, ma in Sierra Leone l’emergenza non è finita. Al contrario, ha suscitato non poca preoccupazione la decisione del governo di mettere in quarantena circa settecento abitazioni in un quartiere costiero della capitale Freetown, dopo la morte di un pescatore della zona. Peraltro, dopo aver registrato una netta flessione nei mesi scorsi, il numero di malati nelle ultime due decadi ha ripreso a crescere.
In Africa occidentale si sono registrati 144 nuovi casi nella settimana dall’8 al 15 febbraio (87 dei quali in Sierra Leone), portando così il bilancio totale a 23.218 contagiati e 9.365 morti dall’inizio dell’epidemia. Sulla base di questi ultimi dati, l’obiettivo dell’Oms di arrestare definitivamente la diffusione del virus sembra ancora lontano. Del resto, secondo il coordinatore Onu per l’emergenza ebola, David Nabarro, in totale, da qui a giugno, serviranno più di un miliardo di dollari per spegnere gli ultimi focolai dell’epidemia.
“L’epidemia – ha spiegato Nabarro – è entrata in una fase finale, in cui serve una capillare attività di monitoraggio per raggiungere tutti i nuovi casi e tracciare i possibili contatti. Inoltre, sarebbero necessari mille epidemiologi nell’area colpita per gestire i 50 “micro-focolai” ancora attivi”.
Sta di fatto che le recenti dichiarazioni del presidente della Sierra Leone, Ernest Bai Koroma, secondo cui la fine della diffusione del virus era imminente, sono state smentite dalle ultime misure di quarantena prese per evitare che il paese paghi un tributo ancora più pesante al virus portatore della letale febbre emorragica. Il provvedimento, che avrà una durata di almeno tre settimane, giunge a meno di un mese dalla revoca delle severe restrizioni agli spostamenti approvate da Freetown nel luglio dello scorso anno.
Lentamente si torna alla normalità
Nella confinante Liberia la situazione è certamente migliore. Con i contagi in netto calo l’emergenza è rientrata e lunedì scorso i bambini sono tornati a scuola, dopo sette mesi di chiusura delle strutture didattiche. Mentre in Guinea, il 19 gennaio erano già riprese le attività scolastiche e la Sierra Leone sta pianificando la riapertura a pieno regime degli istituti scolastici pubblici e privati per la fine di marzo.
La Liberia ha compiuto sforzi enormi per garantire un accesso sicuro in tempi brevi alle 5mila scuole del paese, che Monrovia ha reso “a prova di ebola” spendendo milioni per garantire ai 373mila studenti sopravvissuti all’epidemia, di cui 3mila orfani, servizi igienici potenziati in ogni struttura, ambulanze di picchetto e insegnanti istruiti sulle tecniche di soccorso e prevenzione.
La paura, però, resta sempre, perché come nel caso del quartiere costiero di Freetown, l’ebola può tornare a colpire velocemente. Come resta la discriminazione nei confronti dei sopravvissuti. “Ad alcuni di essi, raccontano i volontari della Ong Young Life Africa di base a Monrovia, è stato impedito l’accesso ai pozzi delle comunità tribali oppure gli è stato vietato di andare ad acquistare viveri al mercato”. Una situazione incredibile che assottiglia le possibilità di reinserimento di tanti ex malati guariti da un virus mortale che si sentono abbandonati dalle loro comunità.
Da segnalare che in questa fase di regressione dell’epidemia, è stata finalmente chiarita la durata esatta del periodo in cui il virus rimanesse attivo nei cadaveri. Lo ha rivelato uno studio realizzato da un team di ricercatori del Rocky Mountain Laboratories del National Institutes of Health (NIH) di Bethesda nel Maryland, che aiuterà a organizzare al meglio gli interventi sanitari in caso di future epidemie.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases, dimostra come i cadaveri rimangano contagiosi almeno per un’intera settimana dopo il decesso del paziente, mentre le tracce del virus possono rimanere presenti anche per dieci settimane.
Spariti un terzo dei fondi per la lotta all’ebola in Sierra Leone
Sullo sfondo di una pandemia che ha sterminato migliaia di africani e segnato in maniera indelebile le vite di molti altri, sembra incredibile leggere la notizia pubblicata lunedì scorso sul sito del Guardian. L’autorevole quotidiano britannico ha denunciato che il sistema di gestione finanziaria della Sierra Leone non è riuscito a spiegare correttamente l’utilizzo di quasi un terzo degli 84 miliardi di leones (circa 12 milioni di sterline) stanziati dal governo per la lotta contro l’ebola.
La notizia giunge sulla base di una dettagliata relazione curata dal Revisore generale del paese africano che ha verificato la gestione dei fondi utilizzati nel corso dell’epidemia. Nel lungo rapporto viene denunciato come, tra lo scorso maggio e ottobre, l’irregolare amministrazione delle ingenti risorse economiche avrebbe rallentato la lotta contro il virus e causato inutili perdite in termini di vite umane.
Il rapporto, pubblicato la scorsa settimana, ha riscontrato “controlli inadeguati” riguardo l’erogazione di fondi e i pagamenti effettuati verso gli ospedali. Inoltre, non c’è nessuna prova che il denaro sia stato effettivamente destinato agli operatori sanitari impegnati in prima linea nel contrasto dell’epidemia e, in alcuni casi, le risorse sarebbero state impiegate nel completo disprezzo delle norme che nel paese africano regolano la materia degli appalti.
Da quanto appurato, il ministero della Salute e Servizi igienico-sanitari di Freetown non è riuscito a produrre tutta la documentazione inerente gli accordi contrattuali che ammontano a 17 miliardi di leones, ripartiti in due capitolati di spesa: 12,7 miliardi per l’acquisto di cinquanta mezzi di soccorso e ambulanze e 2,7 miliardi per la costruzione del Centro di trattamento di Port Loko.
Il rapporto denuncia anche un altro episodio poco chiaro accaduto nella città di Makeni, dove i lavoratori di un ospedale sono scesi in sciopero perché non sono pagati da mesi. E i dubbi si fanno sempre più forti riguardo il fatto che i loro soldi siano stati incassati da lavoratori fantasma. Purtroppo, è veramente desolante costatare che proprio nel paese in cui l’impatto dell’epidemia è stato più devastante, le manovre corruttive sono ancora all’ordine del giorno.