L’Africa deve colmare il netto divario delle infrastrutture

Tabaka front cover township village (Kenya)

Uno dei problemi più seri e diffusi nella maggior parte degli Stati africani è costituito dal deficit infrastrutturale, che penalizza in maniera significativa la produttività e la competitività delle imprese locali, oltre a impedire il raggiungimento del pieno potenziale di crescita economica. Un problema da risolvere con la massima urgenza poiché la grave carenza di infrastrutture ostacola anche l’attrazione di investimenti esteri, oltre a influire molto negativamente sulla crescita degli attuali e ancora modesti livelli del commercio intra-africano.

Non a caso, Calestous Juma, docente di Politiche e processi di sviluppo internazionale presso l’Università di Harvard, nel guest post pubblicato mercoledì scorso sul sito di Forbes definisce la carenza di infrastrutture come il ventre molle dell’Africa.

Un’ulteriore e autorevole conferma sull’assoluta urgenza di risolvere un problema, che in termini numerici è stato oggetto di una recente analisi da parte della Banca Mondiale nella graduatoria interattiva del Logistic Performance Index 2014, l’indice dell’istituto di Washington che registra il livello di sviluppo infrastrutturale a livello mondiale.

Dei 160 paesi presi in considerazione dall’International Lpi global ranking, ben 31 Stati africani figurano tra gli ultimi cinquanta della classifica. La situazione è ancora più critica se si prendono in considerazione le ultime dieci posizioni, sette delle quali sono occupate da nazioni africane, con la Repubblica democratica del Congo e la Somalia rispettivamente penultima e ultima.

Un altro recente studio del World Economic Forum ha analizzato il possibile impatto che lo sviluppo infrastrutturale potrebbe avere sull’Africa sub-sahariana, in termini di crescita e di competitività.  La ricerca empirica ha dimostrato il ritorno positivo rappresentato dagli investimenti in infrastrutture, che sarebbe in grado di accelerare la convergenza di crescita annuale di ben il 13% e aumentare anche il reddito pro capite della macroregione di quasi l’1%.

Interessante pure quanto emerge da uno studio realizzato dall’Economist Intelligence Unitper HSBC Commercial Banking, che rileva come ogni anno il continente perde 2 punti percentuali di crescita del Pil a causa del suo gap infrastrutturale. Gli analisti che hanno redatto il rapporto ritengono che per colmare tale lacuna, gli investimenti nelle infrastrutture dovrebbero essere più che raddoppiati, arrivando a circa 93 miliardi di dollari all’anno per un decennio.

Secondo il presidente della Banca africana di sviluppo (AfDB), Donald Kaberuka, la criticità delle infrastrutture nel continente rappresenta una sfida primaria e un’opportunità che dev’essere sfruttata ampliando l’investimento medio del continente africano nel settore dall’attuale 5% del Pil al 15%.

Da lungo tempo, l’incremento delle infrastrutture costituisce uno dei pilastri operativi dell’istituzione finanziaria multilaterale presieduta da Kaberuka, che considera l’impegno economico nel settore prioritario e in grado d’incentivare del 2% la crescita annuale del continente africano; mentre, stando ai calcoli degli analisti di Standard Bank, pubblicati sul blog dell’istituto di credito sudafricano, con adeguati investimenti nelle infrastrutture, il Pil relativo alla sola area sub-sahariana potrebbe registrare un incremento ancor più considerevole.

Una grave carenza si registra in particolare nelle infrastrutture stradali, come dimostrano i dati della Banca Mondiale, secondo cui, alla fine del 2011 solo il 16% delle strade in Africa sub-sahariana erano pavimentate, rispetto al 26% in America Latina, il 65% in Asia orientale e il 79% nei paesi Ocse.

La scarsa dotazione di infrastrutture stradali influisce direttamente su tempi e costi del trasporto delle merci, che in Africa registrano i prezzi più alti del mondo, anche perché la maggior parte dei trasporti avviene su gomma, alzando così il costo del servizio.

Per i produttori sarebbe molto più vantaggioso trasportare le materie prime su rotaia, considerando il risparmio economico, ma la presenza di vaste foreste tropicali rende tuttavia la costruzione di ferrovie molto lunga e faticosa.

Nel 2008, la Banca Mondiale aveva stimato che trasportare una tonnellata di merce da Douala, in Camerun, a N’Djamena, in Ciad (circa 1.100 chilometri di distanza), richiede almeno due settimane di tempo e costa 11 centesimi di dollaro al chilometro, contro i 2 centesimi del Pakistan e i 3,5 centesimi del Brasile.

Per dare una risposta a questa serie di problematiche si stanno progettando e costruendo nuove strade che potrebbero cambiare radicalmente i collegamenti nel continente africano, soprattutto nell’area meridionale e orientale, grazie ai progetti degli Stati rivieraschi e ai finanziamenti e al know-how tecnico della Cina e in misura minore del Giappone.

Il Sudafrica ha in programma una fitta rete stradale che dall’Oceano Indiano raggiungerà Namibia, Botswana, Zimbabwe e Zambia, fino ai confini meridionali della Repubblica democratica del Congo. Mentre in Africa orientale si svilupperà una rete di strade per collegare le coste di Kenya e Tanzania con gli Stati dell’entroterra: Burundi, Ruanda e Uganda. Nei piani strutturali è previsto anche il potenziamento della tratta Kampala-Juba.

Nel frattempo, l’Etiopia sta ampliando la rete stradale e ferroviaria che collega Addis Abeba con Gibuti e quindi con l’Oceano Indiano, in cerca dello sbocco sul mare perso per la separazione dell’Eritrea. Nei piani di ampliamento di Addis Abeba rientra anche il potenziamento dei collegamenti con il Kenya, il Sudan meridionale e l’Africa centrale.

Altre gravi lacune infrastrutturali si registrano nella fornitura di energia elettrica, tenendo in considerazione che attualmente solo un africano su tre ha accesso all’elettricità, contro i 9 decimi degli abitanti che vivono in altre regioni in via di sviluppo.

Ancora peggiore la situazione in Africa sub-sahariana, dove l’intera potenza istallata è pari a 64 gigawatt, più o meno l’equivalente della rete spagnola. In pratica, nella regione solo una persona su cinque ha accesso alla rete, mentre i consumi pro capite ammontano a soli 124 kilowattora annui (un kilowatt ogni tre giorni). Una situazione resa ancor più critica dal fatto che la maggior parte dei paesi sub-sahariani è soggetta a periodici e prolungati black out dell’energia elettrica, con conseguenti danni per le popolazioni e le attività industriali e commerciali.

Anche in questo ambito sono in cantiere numerosi progetti per connettere le reti elettriche dei paesi della regione. A cominciare dalla Nigeria, il più grande paese dell’Africa per economia e popolazione, il cui governo si è dato l’obiettivo di triplicare a breve termine la produzione di energia per uso domestico e di espandere la rete elettrica.

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