La tanto attesa notizia finalmente è arrivata: la Liberia è ufficialmente libera dall’epidemia di ebola, che solo in questo paese africano ha provocato quasi 5mila morti e oltre 11mila in tutta la regione. L’annuncio, arrivato durante lo scorso fine settimana dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), segna la fine dell’emergenza nazionale e un graduale quanto difficile ritorno alla vita normale. Una normalità che però deve tenere conto del fatto che ebola ha messo in ginocchio l’economia liberiana, già duramente penalizzata prima dello scoppio della letale epidemia.
A questo proposito, la Banca Mondiale ha pubblicato i dati che dimostrano come in termini di Prodotto interno lordo (Pil) le perdite per i tre paesi più colpiti dal contagio (Liberia, Guinea e Sierra Leone) nel 2015 siano pari a 2,2 miliardi dollari; ripartiti in 240 milioni di dollari per la Liberia, 535 milioni per la Guinea e 1,4 miliardi per la Sierra Leone.
La “certificazione” dell’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per la salute è arrivata a 42 giorni dall’ultimo nuovo caso conosciuto, anche se lo stesso organismo ammonisce a non abbassare la guardia finché anche negli altri paesi il virus non sarà debellato.
Importante ricordare, che la Liberia è il primo dei tre paesi colpiti dall’epidemia a ricevere lo status di “Ebola free” da parte dell’Oms, nonostante sia stata sull’orlo del collasso fino allo scorso settembre, con oltre 400 casi a settimana, cancelli sbarrati nei centri di trattamento stracolmi, pazienti morti sui pavimenti degli ospedali, corpi lasciati per giorni nella strada.
Nei due mesi di picco dell’epidemia, ricorda l’Oms, la Liberia era totalmente impreparata ad affrontare l’emergenza, con appena 51 medici per una popolazione di 4,5 milioni di persone all’arrivo del virus e gli ospedali a corto di personale e persino di guanti di protezione.
Medici Senza Frontiere, in un comunicato diramato dopo l’ufficializzazione della notizia, evidenzia che sebbene l’epidemia sembra avviarsi al suo epilogo, non bisogna abbassare la guardia, rafforzando soprattutto la vigilanza ai confini per evitare che il virus possa rientrare nel paese. Questo perché nei confinanti Sierra Leone e Guinea i contagi ancora continuano, anche se l’ultimo bollettino dell’Oms certifica un drastico calo in entrambi gli Stati.
L’ultimo numero dell’autorevole rivista scientifica “The Lancet” ha dedicato quattro articoli al virus dell’Ebola, rilevando in particolare le numerose falle evidenziate dall’epidemia nel sistema sanitario nazionale dei paesi maggiormente colpiti. In uno dei quattro contributi, è chiaramente riportato che l’esperienza dell’epidemia di ebola in Africa occidentale è fondamentale per il sistema sanitario in tutto il mondo, proprio perché la gravità estrema della crisi ha prodotto una risposta senza precedenti, mentre le mancanze dei rispettivi governi suggeriscono la necessità di riforme innovative.
Tali riforme dovrebbero trasformare l’esistente architettura del sistema sanitario globale in uno schema propositivo, ben organizzato con una nuova struttura di comando chiara e unitaria da creare nel più breve tempo possibile. Un potente vertice che riorganizzi l’Oms, in maniera tale che si adoperi non solo per garantire la sicurezza contro le minacce epidemiche, ma anche per soddisfare le esigenze di tutti i giorni, garantendo così il diritto alla salute.
Da notare che, il 9 marzo, le Nazioni Unite avevano messo in campo un gruppo di esperti indipendenti per valutare tutti gli aspetti dell’azione dell’Oms nell’affrontare l’emergenza ebola. Il rapporto finale sull’indagine, presieduta dalla britannica Barbara Stocking, ex presidente di Oxfam Gran Bretagna, è stato pubblicato lunedì scorso.
Nella valutazione vengono denunciati il ritardo e soprattutto le carenze mostrate dall’Oms nella gestione dell’emergenza sanitaria. Il report sottolinea, prioritariamente, il ritardo dell’agenzia Onu nel dichiarare l’epidemia di ebola una “emergenza di salute pubblica globale”. Tale dichiarazione giunse soltanto l’8 agosto, malgrado un allarme preventivo fosse stato lanciato già nei mesi di maggio e giugno.
Altra lacuna, non meno importante rispetto al precedente, riguarda la risposta internazionale attivata soltanto a settembre. In quel periodo di massimo picco della crisi, il Palazzo di Vetro decise di creare un’altra struttura, la missione delle Nazioni Unite per l’Ebola Emergency Response (Unmeer), senza cercare il sostegno delle altre agenzie Onu e delle Ong che operano nelle emergenze umanitarie.
Se quest’appoggio fosse stato cercato in una “fase iniziale”, si sarebbe potuto fare qualcosa di più “per evitare la crisi” e non ci sarebbe stata la necessità di creare una struttura come l’Unmeer.
Il governo di Monrovia, lunedì scorso, ha celebrato la giornata nazionale del ringraziamento e per l’occasione tantissimi liberiani si sono riversati in massa sulle spiagge, un forte segnale che la vita ricomincia, dopo che gli assembramenti sugli arenili erano stati vietati durante l’emergenza.