Le donne africane discriminate nel mercato del lavoro

«Per rompere il soffitto di vetro in Africa, abbiamo urgente bisogno di pensare e agire in modo diverso e investire notevolmente nella leadership delle donne». Questo il commento di Geraldine Fraser-Moleketi, l’inviato speciale sulle questioni di genere della Banca Africana di Sviluppo (AfDB), in merito alle conclusioni sulle discriminazioni subite dalle donne africane, contenute nel primo rapporto dedicato dall’istituzione finanziaria di Abidjan alle disuguaglianze di genere a sud del Sahara.

Una considerazione dettata dal fatto che nello studio è rilevato come nel mercato del lavoro le donne africane continuino a subire discriminazioni, con molteplici esempi in vari paesi sub-sahariani come la Costa d’Avorio, dove le donne sono titolari del 62% delle imprese, ma nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di attività molto piccole e poco remunerative. Nella realtà del Mali emerge invece con evidenza la disparità nell’accesso alla terra: solo il 5% dei proprietari è composto da donne, malgrado esse rappresentino ben il 75% della manodopera agricola del continente e producano la maggior parte delle derrate.

Nell’analisi dei vari fattori che incidono in modo particolare sulle opportunità femminili in Africa, i ricercatori di AfDB chiamano in causa anche il deficit infrastrutturale. Secondo la ricerca, nelle campagne senegalesi le donne impiegano tra le 15 e le 17 ore al giorno nella raccolta della legna e dell’acqua.

Lo studio comprende anche un dettagliato monitoraggio della rappresentanza femminile nei ruoli di decision-maker della società ad alta capitalizzazione. In quest’ambito, rispetto ad altre zone, l’area sub-sahariana può vantare un risultato positivo sulla percentuale delle donne che siedono nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa.

L’Africa, infatti, detiene il primato tra le regioni emergenti con il 14,4%, contro il 9,8% del quadrante Asia-Pacifico, il 5,6% dell’America Latina e il miserrimo 1% del Medio Oriente. Una performance che consente al continente di occupare il terzo posto dietro alle regioni più sviluppate come l’Europa, che guida la graduatoria con il 18% e gli Stati Uniti che la seguono a ruota con il 16,9%.

Tuttavia, l’Africa ha ancora molta strada da fare per assicurarsi che la sua forte crescita economica includa le donne più talentuose nelle posizioni di vertice delle grandi aziende, come dimostrano le indagini effettuate sui principali campioni di settore in cui lavorano le donne africane, che vanno dai servizi finanziari a quello dei materiali da costruzione, alle industrie automobilistiche fino al settore dell’istruzione e della salute.

Nello specifico, il paese africano con la più alta percentuale di donne nei consigli di amministrazione è il Kenya, dove la presenza femminile arriva al 19,8%. Emblematico il caso della East African Breweries Limited (Eabl), una holding con sede in Kenya, produttore leader di birra in Africa Orientale quotata alla Borsa di Nairobi dal lontano 1954, il cui CdA è composto da ben il 45,5% di donne.

Dietro al Kenya c’è il Sudafrica con il 17,4%. Anche nella Rainbow Nation troviamo due società con un’alta percentuale femminile nei consigli d’amministrazione: l’Impala Platinum Holdings (38,5%) e la Woolworths Holdings (30,8%), una catena di negozi al dettaglio tra le più grandi del paese. Gli altri tre Stati che si distinguono nella partecipazione femminile ai vertici delle corporation sono Botswana (16,9%), Zambia (16,9%) e Ghana (17,7%).

A sancire le discriminazioni di genere ci sono anche i parlamenti. Anche se riguardo quest’aspetto, è d’obbligo citare il caso del Ruanda, che guida la classifica mondiale sulla rappresentanza femminile nelle istituzioni statali, grazie alla costituzione approvata nel 2003, il cui testo prevede che 24 degli 80 seggi della Camera bassa siano riservati a donne. Un importante risultato raggiunto grazie alla notevole azione di lobbying delle donne ruandesi e alla loro partecipazione ai lavori preparatori del testo costituzionale.

Purtroppo, c’è anche da rilevare che in 35 paesi africani le mogli sono ancora tenute a obbedire ai loro mariti per legge. Uno dei settori che marginalizza maggiormente le donne africane è quello scientifico. Dati affidabili e recenti, attestano che al di là del Sudafrica, l’attenzione rivolta alle donne nelle scienze è davvero scarsa. I motivi che rendono tanto esigua la rappresentanza delle donne nel settore scientifico in Africa, sono ascrivibili alla barriera che il gentil sesso deve affrontare in tutto il mondo, in combinazione con alcune complessità.

Solo tre dei 13 membri del consiglio dell’Accademia delle Scienze del Sudafrica (Assaf) sono donne, mentre nella maggior parte delle altre accademie scientifiche in tutto il continente, la norma è che ci sia un solo membro del consiglio di sesso femminile. Lo scorso aprile, l’Università di Città del Capo ha nominato preside della facoltà di Ingegneria e Ambiente, l’ingegnere chimico Alison Lewis. Ed è solo la seconda donna nella storia sudafricana a detenere una tale carica.

Nella lettura di questi dati, emerge chiaro che in Africa la parità di partecipazione di uomini e donne a tutte le fasi dello sviluppo economico e sociale costituisce un prerequisito essenziale per la realizzazione della giustizia di genere nel continente. Oltre ad assume una valenza ancora maggiore rispetto ad altre regioni più sviluppate del mondo.

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