Quali sono le economie africane meglio diversificate?

Il crollo delle commodities sta determinando lo sconvolgimento del sistema economico africano. La caduta dei prezzi del petrolio e delle materie prime costituisce un duro colpo per molti paesi africani, che hanno puntato sull’esportazione di questi prodotti come traino alla loro crescita economica. In particolare, la situazione è molto difficile per Nigeria e Angola, che traendo dal petrolio circa il 75% delle loro entrate, sono state costrette a ridimensionare del 25% i propri bilanci.

Il crollo dei prezzi delle materie prime sta determinando lo sconvolgimento di un sistema economico che per lungo tempo ha avuto relativa facilità nell’attrarre investimenti stranieri, ottenere valuta estera pregiata e riequilibrare le bilance di pagamento di molti paesi sub-sahariani.

Il favorevole ciclo economico africano dell’ultimo decennio è stato favorito da un’eccezionale concomitanza di fattori identificabili nell’innalzamento della quota di investimenti esteri nella regione, in un contesto politico più affidabile, in un livello iniziale di reddito pro capite relativamente basso e nelle iniziative di cancellazione del debito da parte dei donatori occidentali, di cui hanno beneficiato numerosi paesi africani.

Allo stesso tempo, però, la maggioranza di questi paesi, mentre continuava a registrare annualmente performance di crescita ormai non ipotizzabili per gli standard del cosiddetto Nord del mondo, non è stata in grado di diversificare in maniera adeguata la propria economia e quindi di ridurre la dipendenza dal petrolio e dalle materie prime, attraverso la creazione di attività produttive.

Inoltre, non solo i paesi che già producono petrolio stanno risentendo della repentina discesa delle quotazioni del greggio, ma anche tutti quelli che negli ultimi anni hanno riposto notevoli aspettative nello sfruttamento dei giacimenti scoperti al largo delle loro coste, come Ghana, Tanzania e Mozambico.

Quelli che invece hanno saputo diversificare in maniera più incisiva le loro economie sono stati relativamente risparmiati dalla diminuzione dei prezzi delle commodities. Tra questi, secondo uno studio basato sulla diversificazione dell’economia condotto dagli analisti di Coface, sono tre i paesi africani che hanno la maggiore diversificazione e le risorse necessarie per continuare a registrare una crescita dinamica: Kenya, Etiopia e Uganda.

I dati più recenti confermano il potenziale di questi tre Stati, la cui consistente crescita del PIL varia tra l’8,6% dell’Etiopia, il 6,9% del Kenya e il 5,4% dell’Uganda. Tracciando un quadro sintetico della situazione economica in ognuno dei singoli paesi, rileviamo che in Etiopia tutti gli indicatori economici confermano una crescita sempre più rapida.

Nell’imminenza della visita di Barack Obama, la prima di un presidente degli Stati Uniti, il ministro delle Finanze etiope, Abraham Tekeste, aveva annunciato che nel nuovo bilancio statale il governo aumenterà la spesa pubblica del 20%, con oltre la metà di queste risorse destinate alla costruzione di nuove strade e all’istruzione superiore. Senza contare, che negli ultimi dieci anni, la media della crescita etiope è stata superiore a quella di tutti gli altri paesi sub-sahariani e le ultime stime del Fondo monetario internazionale, prevedono che possa superare l’8% nei prossimi due anni.

Negli ultimi quattro anni, l’economia dell’Uganda ha beneficiato di una crescita media del 6%, trainata dagli investimenti, privati e pubblici in corso nel paese, oltre che dalla forte espansione del settore dei servizi, rivelatosi il principale volano economico ugandese. Da segnalare pure che, a partire dal 2005, l’Uganda sta attraendo un consistente quanto costante flusso di investimenti diretti esteri (Ide).

Gli economisti di Coface, hanno analizzato la diversificazione in Etiopia e Uganda sulla base del settore manifatturiero il cui sviluppo è legato alla ben riuscita integrazione nella catena del valore mondiale. Nei due paesi africani vengono esportati più di cento prodotti, un numero che è più che triplicato tra il 2000 e il 2013. In particolare, sono due i settori che contribuiscono alla diversificazione economica: la trasformazione di prodotti agricoli e il tessile.

Anche le previsioni sull’andamento dell’economia del Kenya sono positive, con una crescita costante intorno al 7% per i prossimi due anni. Uno scenario di sviluppo sostenuto dal consolidamento della classe media, stimato come il più alto del continente. Il Kenya gode, inoltre, rispetto ad altri paesi della regione, dell’accesso al mare e vanta un’industria manifatturiera ampia e diversificata, rispetto agli standard dell’area. Il suo sistema bancario è il quarto più sviluppato della regione sub-sahariana e il primo in Africa Orientale, con buoni indici di redditività e di qualità del capitale.

Dallo studio di Coface, emerge che il Kenya ha optato per un modello di sviluppo basato sui servizi, che pesano per più del 60% del PIL. A differenza di altre economie dell’Africa sub-sahariana, che puntano tradizionalmente su commercio, trasporti, attività di stoccaggio e servizi pubblici, il Kenya registra una dinamica positiva nelle telecomunicazioni e l’outsourcing dei servizi alle imprese, grazie a una manodopera a basso costo.

È il solo paese che beneficia sia dell’aumento dell’influenza dei settori di servizi a relativamente alto valore aggiunto nell’economia, come trasporti, comunicazione e servizi finanziari, sia dello sviluppo dell’export di servizi, che registra più del 40% del totale delle vendite all’estero.

Oltre ai tre paesi presi in esame, anche il  Ruanda soddisfa il criterio di diversificazione di Coface, ma risente delle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e, per questo motivo, non figura tra le prime tre economie africane meno vulnerabili al crollo dei prezzi delle materie prime.

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