Africa, le dighe incentivano la diffusione della malaria

6a00e54f0b1990883401a3fd3df88e970b__1443778527_13761Un milione di africani quest’anno si ammalerà di malaria solamente per il fatto di vivere vicino a una grande diga. Poco più degli abitanti di Torino, tre volte quelli di Bari o cinque volte quelli di Trieste. Lo dimostra uno studio pubblicato sul Malaria Journal e realizzato dall’International Water Managment Institute, un ente di ricerca scientifico con sede a Colombo, capitale dello Sri Lanka, che si occupa di studiare l’uso sostenibile delle acque nei paesi economicamente meno avanzati.

Secondo quanto riportato nello studio, delle 1268 dighe esistenti nel continente, 723 si trovano in aree malariche e più di quindici milioni di persone vivono a meno di cinque chilometri da una di esse, cioè nella zona in cui è più alta la probabilità di essere punti da zanzare infette.

Il plasmodio, il piccolo organismo protista responsabile della malattia, si propaga nella popolazione umana usando come vettore alcune specie di zanzara. Queste ultime trovano nelle aree umide e ricche di acqua il loro habitat naturale per proliferare.

Non stupisce, quindi, immaginare che ci possa essere una relazione tra i bacini artificiali creati dalle dighe e una maggiore diffusione della malattia. Ciononostante questa è la prima volta che un ricerca scientifica riesce a mostrare in modo diretto la correlazione tra dighe e infezioni.

I ricercatori hanno messo a confronto mappe dettagliate dell’incidenza della malaria con i punti dove si trovano le dighe. Il numero annuo di casi associati a queste ultime è stato, quindi, stimato per differenza tra il numero di casi rilevati nelle comunità a meno di cinque chilometri di distanza con quelle più lontane. A questo si sono aggiunti anche gli studi epidemiologici che sono stati condotti in undici siti di dighe.

Il milione di persone calcolato deriva dal fatto, sottolineano i ricercatori, che chi vive a meno di cinque chilometri da una diga ha una probabilità quattro volte maggiore di contrarre la malattia. L’autore principale dello studio, Solomon Kibret dell’Università del New England (Australia) ha addirittura sottolineato che le loro previsioni sono prudenti: il numero potrebbe essere più alto.

Lo studio pubblicato nelle scorse settimana getta una luce sinistra sulle 78 nuove dighe che saranno costruite nei prossimi anni nel continente. Secondo le analisi di Kibret e dei suoi colleghi, infatti, sessanta di esse si trovano in aree malariche e potrebbero portare a 56mila ulteriori contagi all’anno.

“Le dighe sono essenziali per lo sviluppo economico dell’Africa”, ha dichiarato ai media Solomon Kibret, “ma oltre a portare benefici economici, alleviare la povertà e migliorare la sicurezza alimentare, con il loro ruolo nella propagazione della malaria possono minare la capacità dell’Africa di sostenere il proprio percorso di sviluppo”.

Le aree a maggiore rischio sono quelle dove la malaria ha un andamento stagionale: è quando una diga si trova in queste regioni che il rischio aumenta maggiormente. Ma gli autori dello studio e lo stesso Iwmi non si sono limitati alla teoria, ma hanno invitato gli organismi regolatori a prendere in considerazione una serie di accorgimenti che potrebbero ridurre sensibilmente la possibilità di diffusione delle zanzare vettore.

Si possono progettare le dighe in modo che le zone dove riescono a riprodursi sia minimo e si può chiedere ai costruttori di organizzare programmi di intervento contro la malaria nelle aree che, a causa delle nuova opera, saranno più pericolose.

In attesa di un vaccino davvero efficace, la speranza è che queste indicazioni vengano prese in considerazione dalla World Commision on Dams, la commissione mondiale sulle dighe, l’organismo internazionale che pubblica le linee guida su come devono essere costruite le dighe.

Fonte: OggiScienza

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