La Cina rallenta la crescita dell’economia africana

Le ultime previsioni della Banca mondiale sulla frenata dell’economia africana erano da tempo annunciate, ma forse non ci si aspettava che gli esperti dell’Istituto di Washington valutassero che i paesi sub-sahariani conosceranno il più importante rallentamento registrato nell’ultimo decennio, con una flessione di quasi un punto percentuale rispetto allo scorso anno, quando il tasso di crescita dell’economia africana si era attestato al 4,6%.

L’Africa’s Pulse di World Bank evidenzia come la robusta crescita annuale del 6,5% del Pil che la regione ha sostenuto nel periodo 2003-2008, sembra essere difficilmente ripetibile. Inoltre, il report rileva come il forte incremento dei deficit di bilancio in tutta la regione, in molti casi addirittura più elevato di quello registrato al momento della comparsa della crisi finanziaria globale, ostacolerà in maniera significativa la crescita dei paesi africani.

Gli aspetti più negativi, che, secondo gli analisti di WB, hanno influito in maniera pesante sulla marcata contrazione sub-sahariana, contribuendo in maniera determinante alle pessimistiche conclusioni, sono la riduzione dei prezzi delle materie prime e la flessione dell’economia cinese, con la conseguente riduzione da parte del colosso asiatico della richiesta di materie prime da importare.

Tale riduzione sta registrando forti ricadute sui paesi produttori di petrolio, come Angola, Guinea equatoriale, Nigeria e Congo Brazzaville, e anche sui produttori di minerali e metalli come Botswana, Mauritania e Senegal. Oltre a ciò, tra i governi africani comincia a diffondersi anche il timore che molti progetti infrastrutturali finanziati da Pechino possano essere bloccati, sebbene tale allarmismo potrebbe sembrare eccessivo in relazione al flusso costante di annunci che enfatizzano accordi di sviluppo sino-africani nell’ordine di miliardi di dollari.

Pechino pone da sempre una speciale attenzione sulla realizzazione di grandi opere in Africa e ha tutto l’interesse a sostenere la sua crescita economica interna attraverso le risorse africane, che per poter essere estratte e trasformate necessitano di nuove infrastrutture. Era comunque inevitabile che i due sfavorevoli elementi congiunturali producessero una fase di stallo in un’economia fortemente dipendente da entrambe, sebbene molti analisti sono concordi nel ritenere che la minaccia rappresentata dall’economia cinese sia largamente sopravvalutata.

Senza dubbio, il ribilanciamento dell’economia cinese produrrà sensibili contraccolpi rispetto alle prospettive di crescita nella regione a sud del Sahara, ma ci sono alcuni fattori che inducono ad opinioni divergenti in merito all’impatto della decelerazione della Cina sull’economia africana.

Prima di tutto, esiste la concreta possibilità che molte aziende cinesi, condizionate dal rallentamento della crescita interna, decidano di guardare verso nuovi mercati, privilegiando quello africano. Tale aspetto, insieme alla riduzione dei costi di importazione dei prodotti ‘made in Cina’ potrebbe contribuire a tenere sotto controllo l’inflazione nella regione.

Inoltre, non possiamo non tenere conto del fatto che la Cina è attualmente la seconda maggiore economia mondiale e per questo continuerà ad avere sempre bisogno del petrolio e delle altre commodity africane. D’altra parte, però, la decisione di restringere la politica fiscale sta rendendo meno interessanti gli investimenti esteri per Pechino a favore della domanda interna. Un approccio che ha ridotto la richiesta delle commodity e di conseguenza i prezzi, soprattutto per gli input industriali.

Il punto debole che si evince dalla lettura dall’ultimo Africa’s Pulse è la forte dipendenza dell’economia sub-sahariana rispetto a quella cinese, ampiamente evidenziata dai dati forniti dal ministero del Commercio di Pechino, che rilevano una crescita esponenziale annua dell’impegno economico della Repubblica popolare nel continente, che nel 2013 ha superato i due miliardi di dollari di investimenti diretti. Mentre, Standard Chartered Bank ha previsto che i volumi degli scambi commerciali Cina-Africa possono raggiungere i 280 miliardi di dollari entro il 2015.

Da queste cifre, emerge chiaramente che gran parte del recente sviluppo africano dipende dalle performance della Cina. Non a caso, diversi economisti avevano previsto uno stallo nella prolungata prosperità dell’ex Impero di Mezzo, invitando i paesi ricchi di risorse ma con un basso reddito medio a ridurre la propria dipendenza dal colosso asiatico, soprattutto dopo le forti turbolenze che nello scorso anno hanno caratterizzato il mercato delle commodity.

L’analisi della Banca Mondiale pone pure in evidenzia che alcuni paesi della regione sono in controtendenza rispetto all’indebolimento generale e continuano a registrare una crescita robusta. Ad esempio, Costa d’Avorio, Etiopia, Mozambico, Ruanda e Tanzania manterranno un tasso d’incremento superiore al 7% nel periodo 2015-2017, sostenuto da investimenti in grandi progetti nei settori delle risorse energetiche e dei trasporti. Inoltre, la domanda interna generata dai consumi, gli investimenti e la spesa pubblica spingeranno di nuovo gli indici verso l’alto, riprendendo la traiettoria che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni.

Un’ulteriore prova che l’Africa sub-sahariana con una base di 300 milioni di consumatori, rappresenta un grande mercato che ha bisogno di una rilevante diversificazione economica per avviare un processo di sviluppo “autonomo”.

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