A una settimana dalla carneficina di Parigi, la minaccia jihadista è tornata a materializzarsi in tutta la sua ferocia. Stavolta il luogo ‘consacrato’ dagli islamisti a consumare l’ennesimo rituale di morte è un lussuoso albergo di Bamako, la capitale del Mali, dove l’esercito francese è presente in forze dal gennaio 2013. La Francia è ancora una volta bersaglio degli estremisti, ma questa volta non è dato per scontato che l’attacco a Bamako, chiaramente di matrice jihadista, sia stato operato dallo Stato Islamico.
L’esecuzione dei 27 ospiti dell’Hotel Radisson Blu potrebbe essere stata operata da miliziani legati ad al Qaeda, sua antagonista nell’ambito della disputa per la leadership all’interno della galassia jihadista. Ma per avere un’idea più precisa del contesto in cui si è consumata l’ennesima carneficina islamista è necessario partire dal gruppo che ha rivendicato l’attentato. Si tratta di al-Murabitun, un nome altisonante che deriva dalla dinastia musulmana berbera degli Almoravidi, che regnò tra l’XI e il XII secolo nel Sahara occidentale e nel sud della penisola iberica.
Senza dubbio, una delle più pericolose organizzazioni radicali di matrice islamica attive nell’intera area sub-sahariana, composta in prevalenza da tuareg e arabi delle tre regioni settentrionali del Mali, con una significativa presenza anche di algerini, tunisini e fondamentalisti di altre nazionalità. Il gruppo si è reso responsabile di numerosi attentati e nell’ultimo Country Report on Terrorism del dipartimento di Stato americano è classificato come una seria minaccia alla stabilità della regione sahelo-sahariana.
Al-Murabitoun si è formato nel 2013 dalla fusione del Movimento per l’unità e il jihad nell’Africa occidentale (Mujao) e della Katiba al-Mulaththamin. Fin dalla sua nascita è stato affiliato ad al Qaeda nel Paese del Maghreb Islamico (Aqim), che deriva direttamente dal Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, sorto negli anni novanta durante la guerra civile in Algeria. Al vertice di al-Murabitoun ci sono i suoi due fondatori: Adnan Abu Waleed al-Sahrawi e l’algerino Khaled Aboul Abbas, nome di battaglia di Mokhtar Belmokhtar, dato più volte per morto, ricercato dalle polizie di tutto il mondo e reduce del jihad antisovietico in Afghanistan, dove perse un occhio in combattimento.
Belmokhtar è anche considerato la mente che ha pianificato l’attacco nella città algerina di In Amenas, presso l’impianto petrolifero di Tigantourine, in cui il 16 gennaio 2013 morirono 38 persone. Il leader salafita, mentre era alla guida della Brigata al-Mulaththamin, prese la decisione di fondare al-Murabitoun per unire in un solo gruppo le principali organizzazioni jihadiste legate ad al Qaeda, che avevano preso parte al conflitto in Mali.
In questa condizione, lo scorso 14 maggio, Adnan Abu Waleed al-Sahrawi, tramite un messaggio audio, ha dato l’annuncio del giuramento di fedeltà del suo gruppo allo Stato Islamico. Pochi giorni dopo, però, l’atto di sottomissione al califfo Abu Bakr al-Baghdadi è stato smentito da Belmokhtar, che ha disconosciuto la bayah di al-Mourabitoun, ribadendo la sua vicinanza ad al-Qaeda. Una manovra poco chiara, che potrebbe essere interpretata come la conseguenza di una scissione interna al gruppo, che subito dopo la nascita era stato diviso in tre katiba di circa cento uomini ciascuna.
Belmokhtar, inoltre, si è sempre dichiarato ideologicamente distante dallo Stato Islamico e nel corso del tempo ha cambiato più volte nome al suo gruppo, stringendo alleanze di comodo con la formazione jihadista più in auge del momento, come dimostra la sua recente presenza in Libia per stringere legami con la fazione locale di Ansar al-Sharia. Da tenere in evidenza, anche il suo annuncio dello scorso agosto, relativo alla creazione di una nuova formazione chiamata al-Qaeda nell’Africa Occidentale. Una dichiarazione che può avvalorare l’ipotesi, sempre più ricorrente, che il terrorista algerino abbia perso la guida di al-Murabitun, staccandosi in maniera definitiva da Aqim.
In effetti, il giuramento di fedeltà di al-Murabitoun allo Stato Islamico supporta l’ipotesi che Belmokhtar sia stato sostituito alla guida del gruppo. Nondimeno, la sua smentita dell’affiliazione al Daesh è stata successivamente sconfessata dai vertici dell’organizzazione baghdadista, che ne hanno confermato l’adesione e reso noto che Belmokhtar non è più il comandante in carica. Inoltre, verso la fine di agosto, lo Stato Islamico ha diffuso in rete l’ordine di ucciderlo, per aver guidato i miliziani filo qaedisti che lo scorso giugno cacciarono i seguaci del Califfato da Derna, postando sui social media il suo “wanted dead”.
L’inclusione del noto jihadista nella lista dei ricercati speciali dell’IS, è prioritariamente determinata dal fatto che una figura così carismatica e intransigente rappresenta un arduo ostacolo all’obiettivo primario di affermarsi nell’area perseguito da al-Baghdadi. Un obiettivo ambizioso che prevede l’unificazione dei maggiori gruppi jihadisti della regione sotto la guida di un unico emiro, allo scopo di creare un’altra vasta provincia dello Stato Islamico sul modello siro-iracheno.
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