Gli otto eventi che nel 2015 hanno segnato il corso dell’Africa

bilancio_africa__1451482784_61268Il 2015 è stato un anno ricco di eventi per l’Africa, naturalmente sia in positivo che in negativo. Spiccano le numerose elezioni presidenziali e amministrative, che hanno sancito l’affermazione di nuovi leader sulla scena politica continentale; il rinnovato slancio della cooperazione sud-sud culminato con il Focac di Johannesburg; la crisi politica in Burundi; l’accordo di pace in Sud Sudan e la tanto attesa fine dell’epidemia di ebola.

Le elezioni politiche in Nigeria

Le elezioni in Nigeria hanno dominato per i primi tre mesi dell’anno la scena politica africana. Le premesse della vigilia non lasciavano spazio a ottimistiche previsioni: gli islamisti di Boko Haram avevano ripetutamente minacciato di ricorrere a ogni mezzo per impedire il regolare svolgimento del voto, la Commissione elettorale aveva deciso per motivi di sicurezza il rinvio dello scrutinio di due mesi, mentre molti commentatori erano concordi nel ritenere che l’esito delle consultazioni sarebbe stato compromesso da brogli.

Alla fine, però, le elezioni si sono svolte regolarmente ed è accaduto che, per la prima volta dall’introduzione della democrazia multipartitica nel 1999, il partito di governo non ha ottenuto la maggioranza dei voti e dalle urne è uscito vincitore Muhammadu Buhari, un ex dittatore militare convertito agli ideali democratici, che sta tentando di dare una svolta decisiva alla politica e all’economia nigeriana. La sua affermazione, in ogni caso, è la testimonianza che nel paese più grande dell’Africa, il potere è stato trasferito in modo pacifico e democratico. E se questo è stato possibile in Nigeria può esserlo in qualsiasi altro paese africano.

Liberia e Sierra Leone Ebola-free!

Nel 2015, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato Liberia e Sierra Leone libere dall’ebola, il virus mortale che lo scorso anno ha decimato le loro popolazioni e piegato le loro già fragili economie. Mentre, la Guinea Conakry, lo scorso 17 novembre ha iniziato ufficialmente il suo conto alla rovescia per essere dichiarata indenne dalla malattia.

La terribile epidemia è stata sconfitta dopo aver mietuto oltre 11.300 vittime, la quasi totalità delle quali è stata colpita dal virus nei tre paesi dell’Africa occidentale. In Liberia, l’annuncio dell’Oms è stato accolto con scene di giubilo e tantissimi liberiani si sono riversati in massa sulle spiagge. In Sierra Leone, per celebrare la fine dell’emergenza, il rapper Block Jones ha scritto “Bye bye, Ebola”, sulle cui note hanno ballato anche il presidente Ernest Bai Koroma, i poliziotti, le suore e gli operatori sanitari, che hanno lottato contro il temibile virus.

Magufuli, nuovo presidente della Tanzania

John Pombe Magufuli, candidato del partito di governo Chama Cha Mapinduzi (CCM, partito della rivoluzione in lingua kiswahili), il 25 ottobre è stato eletto presidente della Tanzania con un ampio margine di scarto sul suo sfidante Edward Lowassa. Magafuli non ha perso tempo e dopo aver giurato come presidente il 5 novembre ha subito imboccato con determinazione la strada delle riforme: appena insediato ha subito dimostrato di voler intraprendere un nuovo corso adottando misure straordinarie per ridurre gli sprechi e massimizzare l’efficacia della spesa pubblica.

E ha anche annullato le celebrazioni per il Giorno dell’indipendenza, scegliendo di festeggiare la ricorrenza chiedendo ai tanzaniani di ripulire gli spazi pubblici delle loro città e villaggi, come ha fatto lui stesso partecipando insieme a migliaia di persone ad un’iniziativa di pulizia delle strade di Dar Es Salam. Secondo BBC Africa, la scelta è stata percepita come il simbolo della sua promessa di lottare contro la corruzione e le sue azioni hanno suscitato un sentimento di ammirata ilarità su Twitter, dove impazza l’hashtag #WhatwouldMagufulido (Che farebbe Magufuli al mio posto).

Il tentato golpe in Burkina Faso

Lo scorso settembre, è sembrato che fosse fallita la rivoluzione che un anno prima in Burkina Faso aveva prodotto la fine della quasi trentennale presidenza di Blaise Compaoré. Il protagonista della ‘contro-rivoluzione’ risponde al nome di Gilbert Diendéré, comandante della RSP (Régiment de Sécurité Présidentielle) ed ex Capo di stato maggiore nel vecchio regime, che ha orchestrato un golpe militare per porre fine al governo di transizione.

Il colpo di mano è stato operato poche settimane prima delle elezioni che avrebbero dovuto inaugurare una nuova era democratica nell’ex colonia francese. Ma Diendéré e i suoi seguaci non sono stati capaci di resistere al cambiamento che ha investito il paese e sono stati travolti da una potente combinazione di proteste popolari, dall’univoca condanna manifestata dalle diplomazie regionali e soprattutto da un esercito che ha agito ricordando che il suo primo dovere era quello di difendere l’interesse del popolo, non quello dei politici.

Poi, si sono finalmente svolte le prime libere e regolari elezioni nella storia della “Terra degli uomini integri” e all’inizio di dicembre, Roch Marc Christian Kaboré è stato dichiarato vincitore al primo turno. Un’elezione che rappresenta una svolta determinante nella politica del paese africano e l’inizio di un nuovo decisivo capitolo della storia burkinabé.

Il terzo mandato di Pierre Nkurunziza

Il 2015 è stato un anno che ha registrato anche l’ostinazione di alcuni presidenti africani di rimanere aggrappati al potere. Il caso emblematico è quello del Burundi, dove la tenace insistenza di Pierre Nkurunziza a volersi candidare per un terzo mandato in aperta violazione alla Costituzione vigente nel paese, ha già prodotto centinaia di morti e centinaia di migliaia di profughi.

E hanno manifestato la ferma intenzione di ricandidarsi per un terzo mandato, anche tentando di riformare la Costituzione, Denis Sassou-Nguesso in Congo-Brazzaville e Joseph Kabila in Congo-Kinshasa. Mentre per Paul Kagame, l’attuale presidente del Ruanda, la situazione è molto diversa perché la sua investitura è stata sancita direttamente dal popolo, che con il referendum dello scorso 18 dicembre ha stabilito che Kagame può ricandidarsi per continuare a guidare la nazione dei Grandi Laghi. Inoltre, prima del referendum, più di 3,7 milioni di elettori (il 59%) avevano firmato una petizione proprio per far rivedere la legge costituzionale e permettere al presidente di rimanere in carica anche dopo la fine dell’attuale mandato.

Ciononostante, l’anti-democratica usanza dei presidenti a vita continua a influenzare il processo decisionale di vari paesi africani. A differenza del passato, però, come provano la ferma reazione dell’Ecowas e dell’Unione africana nel caso del Burundi, tale pratica sta diventando oggetto di severe critiche e discussioni in tutto il continente.

L’accordo di pace in Sud Sudan

Lo scorso 26 agosto dopo la firma ad Addis Abeba dell’accordo di pace in Sud Sudan, sembrava prevalere l’ottimismo, ma fino ad oggi nulla sembra cambiato nel più giovane paese al Mondo, ancora scosso da scontri violentissimi, da un’inflazione galoppante e una pace messa continuamente a repentaglio dall’allargamento del conflitto.

Secondo il trattato di pace, Riek Machaar tornerà ad essere vice presidente e parte del suo entourage occuperà dei seggi in Parlamento, ma il futuro del Sud Sudan continua a essere incerto. La maggioranza della popolazione ritiene che la pacificazione del conflitto sia ancora lontana e molti sud sudanesi hanno lasciato il paese per rifugiarsi in Uganda o nella Repubblica democratica del Congo orientale e in altre aree limitrofe, in attesa di vedere che cosa succederà tra il governo ed i ribelli, che nel corso del conflitto si sono macchiati di feroci violenze e gravi violazioni dei diritti umani, favoriti dallo stato di totale impunità.

La Conferenza delle Nazioni Unite per il finanziamento allo sviluppo

Nel corso della terza Conferenza internazionale delle Nazioni Unite per il finanziamento allo sviluppo, che si è svolta dal 13 al 16 luglio ad Addis Abeba, è emersa la necessità di un nuovo approccio, che tradotto in termini pratici consiste nel cessare di operare interventi assistenziali e trovare un’intesa comune per impedire l’elusione fiscale delle grandi aziende a danno dei paesi più poveri.

Nel corso dei lavori è emerso che per sconfiggere la povertà è prioritario contrastare le pratiche finanziarie adottate dalle grandi aziende a livello globale, che sottraggono risorse fondamentali per lo sviluppo. E’ quindi apparsa in tutta la sua evidenza l’urgenza da parte dei governi di intervenire per riequilibrare le norme sulla tassazione, l’aiuto allo sviluppo e la finanza privata, affinché siano davvero a beneficio di tutti, e non solo di pochi fortunati. Tutto ciò, mentre la stragrande maggioranza dei paesi africani non vuole più essere dipendente dagli aiuti, che evidentemente non rappresentano più un fondamento per lo sviluppo sostenibile.

Il Focac segna nuove relazioni tra Cina e Africa

Lo scorso 4 e 5 dicembre, si è tenuto il sesto Forum per la cooperazione Cina-Africa (Focac), che per la prima volta è stato aggiornato al livello di vertice e dopo quindici anni dalla sua istituzione ha avuto luogo in Africa, esattamente a Johannesburg. Una cooperazione in costante crescita che vede oltre tremila imprese cinesi operative nel continente, dove attualmente Pechino è impegnata in oltre mille progetti, mentre lo scorso anno gli scambi commerciali tra l’Africa e la Cina hanno superato i 220 miliardi di dollari, un volume d’affari ventidue volte superiore a quando nel 2000 fu tenuto il primo Focac.

Il meeting di Johannesburg ha rappresentato senza dubbio l’apice dell’azione diplomatica che la Cina ha condotto negli ultimi anni verso l’Africa. Secondo gli analisti, il vertice ha creato solide premesse per trasformare le relazioni sino-africane in nuovo tipo di partenariato strategico globale, che segnerà lo sviluppo economico africano nell’anno che sta per iniziare.

Categorie: Aiuti umanitari, Conflitti, Cooperazione allo sviluppo, Corruzione, Diritti umani, Economia, Terrorismo | Tag: , | Lascia un commento

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