Come in un sequel dell’orrore, a poco meno di due mesi dall’attacco a Bamako, al Qaeda è tornata a colpire in Africa francofona. Questa volta l’obiettivo è Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, dove al-Murabitun, una delle emanazioni più agguerrite del network qaedista del Sahel ha assaltato il bistrò ‘Le Cappuccino’ e gli hotel ‘Splendid’ e ‘Yibi’. Gli attentati, in cui sono morte almeno 29 persone, avevano un obiettivo chiaro: la Francia e l’Occidente infedele.
Lo testimonia l’audio messaggio inviato all’agenzia di stampa indipendente mauritana ‘al-Akhbar’ da un terrorista del gruppo, che ha partecipato all’assalto all’albergo. Il comunicato è stato registrato dal prima che l’operazione delle forze di sicurezza ponesse fine all’attacco e porta la firma di al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), che aveva già rivendicato l’attentato con un altro messaggio ripreso da Site Intelligence Group. Nella rivendicazione è riferito che l’assalto era stato compiuto da al-Murabitun, gruppo affiliato ad Aqmi, che aveva già rivendicato l’attacco del 20 novembre scorso all’hotel Radisson Blu di Bamako, in cui erano rimaste uccise venti persone.
Appare sempre più evidente, che il susseguirsi di attentati testimonia una sorta di rivalità all’interno del fondamentalismo islamico nella vasta regione, che vede protagonisti i salafiti di Aqmi, la cui origine risale alla guerra civile algerina. Il gruppo coltiva da sempre ambizioni regionali e sta assumendo un ruolo primario nella cruenta competizione per la supremazia del terrore in atto nella regione, tra al Qaeda e lo Stato Islamico. Da rilevare, che la dinamica operativa dell’attacco di venerdì sera contro gli hotel e il bistrò di Ouagadougou è pressoché identica a quella portata a compimento sempre da al-Murabitun, lo scorso 20 novembre a Bamako.
Anche in quell’occasione è stato preso di mira un albergo frequentato da occidentali e da molti analisti l’azione fu letta come la risposta di al Qaeda agli attentati dei miliziani franco-belgi dello Stato Islamico, che una settimana prima avevano insanguinato Parigi. Negli ultimi mesi, l’operatività di al Qaeda si sta sempre più concentrando nell’Africa occidentale, dove in maniera graduale i gruppi filo-qaedisti stanno allargando il proprio raggio d’azione, nel tentativo di rafforzare la propria influenza. In questa vasta e popolatissima regione, il califfo Abu Bakr al-Baghdadi ha già marcato il territorio con “La provincia occidentale africana dello Stato Islamico”, proclamata lo scorso aprile dagli islamisti nigeriani di Boko Haram, che hanno giurato fedeltà e obbedienza al Daesh.
Gli attentati di Ouagadougou sembrano dunque dare corpo all’ipotesi di una nuova al Qaeda nell’Africa occidentale (Qaedat al-Jihad in West Africa), pronta a dispiegare le sue forze in chiave anti-ISIS, di cui proprio il co-fondatore di al-Murabitoun, l’algerino Khaled Aboul Abbas, nome di battaglia di Mokhtar Belmokhtar, aveva dato l’annuncio ad agosto. Un annuncio che unito al suo ruolo guida delle milizie filo-qaediste, che lo scorso giugno cacciarono i seguaci del Califfato dalla roccaforte libica di Derna, è valso al reduce del jihad antisovietico in Afghanistan l’inclusione nella lista dei ricercati speciali del Daesh.
Nella prospettiva qaedista occorre, però, tenere ben presente l’eterogeneità e la complessità del quadro jihadista nell’area, dove operano numerose sigle che nel tempo sono rimaste fedeli all’organizzazione guidata da Ayman al-Zawahiri. Oltre adal-Murabitun, formatasi nel 2013 dalla fusione del Movimento per l’unità e il jihad nell’Africa occidentale (Mujao) e della Katiba al-Mulaththamin, un’altra formazione jihadista di spicco operativa nell’area è Ansar Dine, che subito dopo l’attacco agli hotel di Ouagadougou, ha rivendicato il rapimento di una coppia di medici volontari australiani al confine con il Mali. Il gruppo è stato creato da Iyad agGhali, un ribelle tuareg che negli anni novanta ha militato nelle fila del Movimento popolare dell’Azawad e nel novembre 2007 venne inviato dal governo del Mali a Gedda, in Arabia Saudita, dove si è convertito alla dottrina salafita.
Ansar Dine, che ha legato il nome agli scontri che nell’aprile 2012 avevano trasformato il Nord del Mali nello Stato indipendente di Azawad, sebbene graviti nell’orbita di Aqmi non si può al momento considerare integrata ai qaedisti. Nella zona è attivo anche un altro gruppo, il Fronte di liberazione della Macina (Flm), regione che si estende dal confine con la Mauritania fino al confine con il Burkina Faso. L’area geografica è sotto l’influenza dei fulani, etnia nomade dell’Africa Occidentale, le cui milizie di autodifesa si sarebbero unite nell’Flm.
Al vertice del gruppo compare Amoudou Koufa, originario di Mopti, membro influente della setta fondamentalista Dawa, attiva in Pakistan. Secondo alcuni osservatori, sebbene non sia chiaro se Koufa sia ancora in vita ed esista la possibilità di un’affiliazione ad al Qaeda nel Maghreb Islamico, l’obiettivo primario del Fronte sarebbe ricreare su criteri etnocentrici l’antico Impero fulani di Macina.
L’ipotesi che tutte queste formazioni stiano confluendo in un’unica realtà jihadista afro-occidentale sotto l’egida di al Qaeda è comunque tutta da dimostrare, anche se non è da escludere che ciò possa accadere nel breve termine. Resta però il fatto, che tranne Boko Haram e alcuni miliziani legati al gruppo somalo di al-Shabaab, che hanno giurato fedeltà al Califfato, le altre realtà islamiste dell’area non sono confluite nello Stato Islamico. Un’evidente dimostrazione che l’Isis finora non ha avuto grande successo nell’infiltrarsi nella regione e al Qaeda rappresenta ancora una grave minaccia per l’Africa occidentale e l’intero continente.