Il Gruppo ad alto livello di implementazione dell’Unione africana e il governo sudanese hanno firmato un accordo quadro per la cessazione delle ostilità e la ripresa dei colloqui separati negli Stati del Kordofan meridionale e Nilo Azzurro e nella regione del Darfur. Il documento rileva però che il dialogo nazionale “non è stato sufficientemente inclusivo, avendo estromesso i quattro gruppi di opposizione che partecipano ai negoziati”.
In linea con l’intesa, Khartoum ha accettato per la prima volta di negoziare a livello politico con il Movimento popolare di liberazione sudanese – Nord (Splm-N) senza porre la condizione di raggiungere un prioritario accordo sul cessate il fuoco e il disarmo delle milizie. Tuttavia, l’Splm-N e gli atri tre gruppi ribelli che prendono parte alle trattative, il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem), il Movimento di Liberazione del Sudan guidato da Minni Minnawi (Slm-Mm) e il partito sudanese di opposizione Umma National Party (Nup), passato alla clandestinità nel gennaio 2015, hanno rifiutato la roadmap sostenendo che non ridurrebbe l’influenza del regime sui territori.
La coalizione ribelle sudanese ha criticato l’accordo perché non separa il processo umanitario da quello politico e lo ritiene poco efficace per contrastare l’ambiguità e la mancanza di chiarezza dimostrata dal governo di Khartoum nel corso dei negoziati per porre fine ai conflitti. Nello stesso tempo, il presidente della Commissione dell’Unione Africana Nkosazana Dlamini Zuma ha accolto con favore la sigla dell’accordo da parte del governo sudanese e ha invitato i gruppi di opposizione a firmarlo entro la fine di marzo. Mentre il capo dei mediatori dell’Auhip, l’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, ha precisato che la tabella di marcia apre per la prima volta la strada alla firma di una cessazione delle ostilità e all’avvio di negoziati politici, oltre a consentire di raggiungere i civili nelle zone colpite dai combattimenti.
Il Kordofan meridionale è uno Stato federale del Sudan grande tre volte l’Olanda, che dopo la secessione di Juba è diventato la zona di frontiera più meridionale con il paese africano. Questo territorio non ha trovato una collocazione completamente definita dopo l’Accordo globale di pace (Cpa) di Naivasha del gennaio 2005, che chiuse una guerra civile durata ventuno anni, aprendo la fase di transizione che nel luglio 2011 avrebbe portato il Sud all’indipendenza.
La popolazione del Kordofan da lungo tempo si oppone al controllo del governo di Khartoum, che non hai mai preso in considerazione le aspirazioni autonomiste di questa regione, soprattutto per la presenza di importanti giacimenti petroliferi nell’area di Abyei. La ribellione è esplosa un mese prima dell’indipendenza ottenuta dal Sudan del Sud, che ha indotto la quasi totalità dei cinquanta gruppi tribali della regione a riunirsi nel gruppo ribelle del Movimento popolare di liberazione sudanese – Nord (Splm-N) guidato da Abdel-Aziz al-Hilu, originario della zona dei monti Nuba. L’Splm-N si contrappone alle Forze armate sudanesi (Saf) ed è particolarmente attivo nella parte sud del Kordofan, dominata dai monti Nuba, che insieme ad altri sei distretti, per motivi di sicurezza è stata estromessa dal voto alle ultime elezioni presidenziali dello scorso aprile.
Una decisione che ha intensificato ulteriormente gli scontri armati tra le fazioni in lotta. Negli ultimi quattro anni e mezzo anni le Saf hanno indiscriminatamente bombardato la regione provocando un numero altissimo di profughi e negli scontri tra le milizie ribelli e le truppe governative sono rimasti uccisi anche diversi operatori umanitari, mentre nel gennaio 2015 la distruzione un ospedale di Medici Senza Frontiere, ha costretto l’ong a lasciare il paese.
Subito dopo lo scoppio del conflitto, le Nazioni Unite avevano denunciato crimini di guerra commessi dall’esercito sudanese nella regione, che hanno trovato conferma nel rapporto pubblicato lo scorso agosto da Amnesty International. Secondo il gruppo impegnato nella difesa dei diritti umani, dal 2011 il governo sudanese ha limitato la presenza umanitaria internazionale nelle aree di conflitto con dirette conseguenze sulla possibilità di fornire approvvigionamenti alimentari e assistenza sanitaria alla popolazione stremata dalla guerra.
Il conflitto ha impedito anche agli operatori umanitari di prestare assistenza ai bambini. L’Unicef ha stimato che proprio a causa delle perduranti ostilità, i 165mila bambini sotto i cinque anni che vivono nel Sud Kordofan e nel Nilo Azzurro, non ricevono le vaccinazioni di routine ormai dal 2011. Una situazione assolutamente preoccupante anche in ragione dell’ultimo focolaio di morbillo che ha colpito il Sudan, giudicato dal locale ministero della Salute uno dei peggiori nella storia recente del paese.