L’esito del referendum sulla Brexit ha determinato un terremoto politico che costringe anche l’Africa a una seria riflessione sulle conseguenze positive o negative, che questo avvenimento storico comporta nel breve, medio e lungo termine. A risentire della Brexit sarà in particolare il Sudafrica, sia a causa delle molte aziende del paese quotate a Paternoster Square, sia per la vulnerabilità del rand ai flussi di capitali diretti verso l’esterno.
La Brexit non cambierà soltanto le relazioni e le economie tra il Regno Unito e i paesi europei, ma coinvolgerà anche l’Africa. Soprattutto quelle nazioni che fanno parte del Commonwealth. Secondo lo studio di un’agenzia delle Nazioni Unite, Marocco, Tunisia e Ghana sono i paesi che maggiormente risentiranno dall’uscita del Regno Unito dall’Ue, se questa avverrà senza negoziare contestualmente accordi sui commerci e gli scambi (no-deal).
È stato calcolato che per 20 paesi africani le perdite totali di esportazioni potrebbero ammontare a 420 milioni di dollari. Ma altri ci guadagnerebbero. Si tratta di 11 nazioni del continente – Sudafrica in testa – che aumenterebbero le loro esportazioni per un totale di 3.66 miliardi di dollari. Altri paesi “beneficiari” della Brexit sarebbero, in ordine di guadagni sulle esportazioni: Mauritius, Botswana, Seychelles e Namibia.
Secondo Unctad (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) “una Brexit no-deal potrebbe danneggiare le economie più piccole che commerciano con il Regno Unito”. Se ne avvantaggerebbero, pare, quelle che hanno relazioni commerciali forti. Primo fra tutti il Sudafrica, appunto, che è il primo partner commerciale africano del Regno. Esporta, per esempio, il 10 % dei suoi vini in UK. Seguono la Nigeria e il Kenya.
Le cose però, non sono così scontate (e matematiche), fa sapere lo stesso organismo dell’Onu che ha diffuso la sua analisi pochi giorni fa. Tutto dipenderà dagli accordi (o dalla mancanza di essi) tra il governo inglese e gli altri paesi. Accordi bilaterali o anche regionali, con l’Ecowas (Africa occidentale) o con l’Eac (Africa orientale).
Ad essere sotto osservazione – si legge nel rapporto – è la Mfn, la clausola della nazione più favorita. Si tratta di uno dei trattati più rilevanti del diritto internazionale, con cui gli stati stabiliscono vantaggi gli uni con gli altri e trattamenti (tariffe) favorevoli nel campo del commercio.
L’intenzione di Londra di abbassare queste tariffe, potrebbe aumentare la competitività di alcuni dei suoi partner commerciali. Molte esportazioni dei paesi in via di sviluppo godono di un accesso favorevole al mercato del Regno Unito, grazie agli accordi commerciali bilaterali e ai regimi preferenziali unilaterali dell’Ue. “I paesi che vogliono mantenere questo accesso al mercato devono negoziare – e rapidamente – con il Regno Unito“, ha detto Unctad. Bisogna però vedere cosa il Regno Unito, dal canto suo, vorrà fare.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il paese di Theresa May è tra le cinque maggiori economie con investimenti in Uganda, Zambia, Botswana e Nigeria. Investimenti che incidono positivamente sul prodotto interno lordo di queste aree che ovviamente riceverebbe seri contraccolpi da una eventuale recessione dell’economia inglese.
Ma, come si diceva, è il commercio che risentirà maggiormente di una Brexit senza accordi chiari. Secondo l’Ufficio nazionale di statistica (Ons), l’export dall’Africa verso il Regno Unito è pari solo al 4,8% dell’export dell’intero continente, ma – dicono gli analisti – l’impatto della Brexit su alcuni paesi potrebbe comunque essere assai rilevante. Un esempio, spesso citato, è quello del Kenya, per il quale il Regno Unito è una delle fette più importanti di guadagno nell’esportazione di fiori.
Commercio e investimenti, dunque, incideranno sulle economie dei paesi africani una volta che la Brexit sarà un fatto (per ora resta in proroga). Molti degli accordi commerciali tra il Regno Unito e gli Stati africani sono stati negoziati attraverso l’Unione europea. Questo vuol dire che cesseranno di esistere e dovranno, eventualmente, essere rivisti.
A questo punto però entra in gioco l’Africa. Entrano in gioco i singoli paesi africani, i loro governi e leader. Per quanto ricerche e analisi – anche quella appena citata – possano disegnare uno scenario in molti casi negativo, è probabile che la Brexit possa rappresentare un’opportunità per le nazioni africane. Quella di mostrare i muscoli, unirsi a livello politico e di intenti, per negoziare accordi commerciali più vantaggiosi, non solo con la singola nazione, il Regno Unito, ma con tutta l’Unione europea.
E non andrebbe neanche trascurato un dato. In questi anni l’Africa ha esteso ampiamente le sue relazioni diplomatiche e commerciali con altri paesi. Citiamo quello più forte, la Cina, che, ad esempio, rappresenta oltre il 15% delle esportazioni dell’Africa sub-sahariana. E ogni anno si registrano percentuali di incremento. Seguono gli Stati Uniti.
Certo, la quota di esportazioni in Europa – e nel Regno Unito – ha il suo peso sul Pil: prodotti della pesca, minerali, metalli, petrolio, gas, le merci più esportate. Un no-deal provocherebbe svantaggi a molti paesi africani. Ma non è detto che oggi essi non abbiano gli strumenti per affrontare il cambiamento che verrà.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it