Dopo 22 anni dal viaggio di Yitzhak Shamir in Marocco, un capo di governo israeliano è tornato in Africa per consolidare le relazioni diplomatiche e commerciali con il continente. Una visita ufficiale di cinque giorni, che ha portato Benjamin Netanyahu in Kenya, Etiopia, Uganda e Ruanda. Il tour corona l’opera di riavvicinamento avviata negli anni scorsi dall’attuale ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, che in veste di ministro degli Esteri aveva visitato il continente nel 2009 e nel 2014.
Il tour del primo ministro israeliano nei quattro Stati chiave dell’Africa orientale ha assunto anche una forte valenza personale perché ha coinciso con il quarantesimo anniversario dell’Operazione Fulmine, nome in codice, che i militari dell’unità speciale Sayeret Matkal diedero al raid che condusse alla liberazione di 105 passeggeri di un volo Air France, proveniente da Tel Aviv e diretto a Parigi.
Il velivolo con a bordo 248 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio venne dirottato il 27 giugno 1976 dopo uno scalo tecnico ad Atene da due terroristi palestinesi e due tedeschi. Dopo una prima sosta a Bengasi, in Libia, l’Airbus 300 si diresse alla volta di Entebbe, in Uganda, dove al commando dei dirottatori si aggiunsero altri quattro terroristi, che godevano dell’appoggio del governo del sanguinario dittatore Idi Amin Dada, che simpatizzava per la causa palestinese.
Dapprima, Amin era stato sostenuto da Israele, ma le sue relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico degenerarono quando Tel Aviv rifiutò al governo di Kampala la vendita di velivoli di combattimento, che dovevano servire per attaccare la Tanzania.
Alla fine nelle mani dei sequestratori rimasero 105 cittadini israeliani ed ebrei, che insieme all’equipaggio furono rinchiusi nel vecchio terminal dell’aeroporto. Tutti gli ostaggi vennero liberati dalle Forze armate israeliane nella notte tra il 3 luglio ed il 4 luglio, in un blitz guidato dal fratello dell’attuale premier israeliano, il trentenne tenente colonnello Yonatan Netanyahu, che fu l’unico militare a perdere la vita nell’azione. Il leader israeliano ha quindi voluto onorare la memoria di Yoni, recandosi sul luogo dell’operazione che coprì di gloria l’esercito con la Stella di David e costò la vita al fratello maggiore.
La visita di Netanyahu è stata organizzata con l’obiettivo di inaugurare una nuova era che consenta a Israele di fornire il proprio know-how ai paesi africani, soprattutto nell’ambito della sicurezza, in cambio del sostegno che potrebbe risultare decisivo negli organismi internazionali. Specialmente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove i palestinesi da tempo tentano, senza successo, di ottenere i consensi necessari per andare a una votazione dei 15 membri per il riconoscimento dell’indipendenza del loro Stato.
Prima di partire per il tour africano, Netanyahu aveva dichiarato che il suo viaggio disegna “cambiamenti epocali” nel rapporto tra Israele e l’Africa, che risale alle origini dello Stato ebraico, quando alcune nazioni africane furono tra le prime al mondo a riconoscere Israele votando a favore del piano di partizione della Palestina elaborato dall’Unscop. Subito dopo Tel Aviv strinse ottimi rapporti di collaborazione con gran parte dei paesi africani, che nella prima metà degli anni sessanta portarono Israele ad aprire missioni diplomatiche permanenti in 32 Stati africani.
Poi, negli anni settanta, la guerra dello Yom Kippur e l’affermarsi della contrapposizione tra i due blocchi produssero un forte peggioramento dei rapporti tra i due attori regionali. Ciononostante, Tel Aviv mantenne un’ottima collaborazione, in particolar modo nei settori militare e nucleare, con il Sudafrica del regime dell’apartheid, mentre l’Anc di Mandela stringeva rapporti con l’Olp di Yasser Arafat. In seguito, sul finire degli anni ottanta, nonostante il parere contrario di diversi esponenti politici, il governo israeliano assunse una posizione sempre più critica verso il regime sudafricano diminuendo i contatti con Pretoria.
Il tour appena concluso corona un’opera di riavvicinamento, già avviata negli anni scorsi dall’attuale ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, che in veste di ministro degli Esteri aveva visitato il continente nell’autunno del 2009 e nell’estate del 2014. A loro volta, decine di dignitari africani hanno visitato Israele negli ultimi anni. Gli ultimi in ordine di tempo, il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, recatosi a Tel Aviv lo scorso febbraio, mentre il mese passato è stata la volta della presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf.
Solide premesse che la settimana scorsa hanno consentito al governo israeliano di approvare l’apertura, nei quattro paesi visitati da Netanyahu, degli uffici dell’Agenzia di Israele per lo sviluppo internazionale. Un ricongiungimento diplomatico sostenuto anche a livello finanziario dal lancio di un pacchetto di aiuti da 13 milioni di dollari che servirà a rafforzare i legami economici e la cooperazione, ad ogni livello, tra Israele e l’Africa.