“I governi africani dovrebbero aggiungere nuove fonti di reddito per finanziare il loro sviluppo, come le rimesse e il partenariato pubblico-privato, oltre a mettere in atto misure efficaci per reprimere i flussi finanziari illeciti”. Questo uno dei passaggi più salienti dell’ultimo rapporto realizzato dalla Conferenza delle Nazioni Unite su Commercio e Sviluppo (Unctad), presentato il 21 luglio a Nairobi, in occasione della 14esima sessione della Conferenza ministeriale dell’organizzazione di Ginevra.
Lo studio di 166 pagine intitolato: “Report 2016. Lo sviluppo economico in Africa” esamina, come spiega il suo sottotitolo, le dinamiche del debito e di finanziamento dello sviluppo nel continente, concentrando la sua attenzione sulle problematiche legate alla gestibilità del debito estero di diversi paesi africani.
Debito estero, che nel lungo periodo è rapidamente aumentato, facendo seguito a venti anni di assistenza speciale ai paesi fortemente indebitati e di interventi di sgravio da parte dei creditori multilaterali. Il tutto operato nell’ambito del meccanismo internazionale Hipc per ridurre l’onere del debito dei paesi poveri a un livello ritenuto sostenibile. Un’iniziativa avviata nel 1996, che fin dall’inizio è stata oggetto di critiche da parte di economisti dello sviluppo, ong e gruppi della società civile.
La relazione rileva che l’indebitamento estero dell’Africa appare gestibile, ma i governi africani devono adottare misure per prevenirne la rapida crescita che potrebbe innescare una nuova crisi, come avvenuto tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta. Per poter garantire la sostenibilità di un passivo, è necessaria una strategia di investimento guidato mirata a trasformare le economie africane, che al contempo devono impegnarsi nel processo di integrazione regionale dei mercati, nella costruzione di infrastrutture e nello sviluppo industriale, anche a livello transfrontaliero.
Le stime più recenti rilevano che il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in Africa potrebbe richiedere investimenti tra 600 miliardi e 1,2 trilioni di dollari l’anno. E per il solo incremento di infrastrutture, il continente avrebbe bisogno di 93 miliardi di dollari, ma può compensare soltanto la metà di tale somma.
Il rapporto evidenzia che una decade di forte crescita economica ha consentito a molti paesi africani la possibilità di accedere ai mercati finanziari internazionali emettendo obbligazioni sovrane. Tra il 2006 e il 2009, un paese africano in media ha visto crescere il proprio debito estero del 7,8% all’anno, una cifra salita al 10% nel triennio 2011-2013 per raggiungere 443 miliardi di dollari, equivalenti al 22% del reddito nazionale lordo, dal 2014.
La relazione rileva che diversi paesi africani hanno contratto ingenti debiti sui mercati nazionali. A riguardo fornisce esempi specifici e analisi del debito interno relativi a Ghana, Kenya, Nigeria, Tanzania e Zambia. Nell’arco di due decenni in alcuni paesi, il debito interno è quasi raddoppiato passando da una media dell’11% del prodotto interno lordo nel 1995, a circa il 19% della fine del 2013.
I paesi africani inoltre dovrebbero cercare fonti complementari di reddito, tra cui le rimesse e i risparmi della diaspora, che da alcuni anni registrano una rapida crescita, raggiungendo, nel 2014, i 63,8 miliardi di dollari.
L’Africa deve anche affrontare il problema dei flussi finanziari illeciti, che possono raggiungere 50 miliardi di dollari all’anno. Tenendo presente che secondo le stime, tra il 1970 e il 2008, il massiccio flusso di soldi di provenienza illecita dal continente ha prodotto una perdita di 854 miliardi di dollari, pari a circa tutti gli aiuti allo sviluppo ricevuti nello stesso arco di tempo.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it