L’Isis chiama alle armi i militanti di al Shabaab

Il video diffuso lo scorso 17 settembre sulla rete conferma che l’Isis sta proseguendo nel tentativo di infiltrazione all’interno degli estremisti somali di al Shabaab, in atto da più di un anno. Parlando in somalo, arabo, inglese e swahili, circa settanta uomini mascherati si alternano nelle riprese incitando a unirsi al loro gruppo per abbracciare il jihad in Africa orientale e proseguire nella lotta contro il governo e le forze straniere alleate.

Era il 23 ottobre 2015, quando uno dei leader spirituali di al Shabaab, Abdul Qadir Mumin, noto anche come Ikrima al-Muhajir e proveniente dal sottoclan Ali Saleebaan, che fa parte del clan Majeerten appartenente alla cabila nomadico pastorale Darod del gruppo Harti, ha giurato sottomissione al califfo al-Baghdadi producendo un’ulteriore frattura all’interno del gruppo somalo.

Dopo aver abbracciato la causa del Califfato, Mumin insieme ai suoi seguaci si è insediato nel suo luogo di nascita: la zona montuosa di Galgala nel Puntland, regione semi-autonoma nella Somalia nord-orientale. L’ideologo sunnita ha vissuto per lungo tempo in Svezia per poi trasferirsi nelRegno Unito nel 2000, dove gli venne concessa la cittadinanza britannica. Nel 2010, Mumin è tornato in Somalia per unirsi ad al Shabaab e due anni dopo è stato inviato nel Puntland per rafforzare il fervore dei combattenti sotto il comando del leader locale del gruppo, lo sceicco Mohamed Said Atom, capo del clan Warsengili.

Atom, nel giugno 2014, si è arreso al governo centrale di Mogadiscio per contrasti con i vertici dell’organizzazione e Mumin ha assunto il comando della fazione.Per approfondire: Così Isis è arrivato in Somalia. Da quando ha espresso il suo bayah all’Isis, sulla testa di Mumin pende una taglia emessa dall’intransigente attuale leader di al Shabaab, Ahmad Umar (conosciuto anche come Abu Ubaidah), rimasto fedele ad al Qaeda e pronto a eliminare fisicamente tutti coloro che esprimono una posizione contraria.

Per questo, il predicatore radicale è attivamente ricercato dall’Amniyat, una sorta di polizia segreta creata dal defunto capo di al Shabaab Ahmed Abdi Godane per imporre la linea ortodossa all’interno del gruppo islamista.

L’Isis ha operato ripetuti tentativi per infiltrare il movimento radicale somalo perché ha tutto l’interesse di reclutare proseliti all’interno di un’organizzazione ben strutturata, che opera in maniera tattica su una vasta area e continua a costituire una seria e costante minaccia per la sicurezza regionale.È inoltre prevedibile, che se in futuro al Shabaab decidesse di stringere totale alleanza con l’Isis potrebbe operare un ulteriore salto di qualità negli attacchi ricorrendo all’uso di tattiche sempre più vistosamente violente, con l’intento di assumere un ruolo di maggiore rilevanza nella crudele competizione con gli altri affiliati dello Stato Islamico.

Secondo quanto riferito lo scorso maggio da Abdi Hassan Hussein, ex direttore dell’agenzia di intelligence del Puntland sostenuta dagli Stati Uniti, il ramo somalo dell’Isis dopo la sua istituzione ha allestito campi di addestramento e formato le prime unità. L’ex direttore ritiene che lo Stato islamico avrebbe cominciato a sostenere il gruppo somalo attraverso i propri affiliati nello Yemen, che avrebbero inviato nel Puntland aiuti finanziari, forniture militari e addestratori. Le stime più recenti reputano, però, che i militanti ad aver abbandonato al Qaeda per supportare i disegni espansionistici di Daesh nella regione sub-sahariana siano poco più di un centinaio, originando una frangia estremista che pone l’obiettivo della restaurazione di un Califfato islamico in una grande Somalia.

In un recente articolo pubblicato dall’Hudson Institute, un think tank non profit con sede a Washington, i ricercatori Daveed Gartenstein-Ross e Nathaniel Barr hanno valutato che l’Isis in Somalia è riuscito a stabilire “solo una piccola e debole base d’appoggio”, sotto la guida di Mumin.

Probabilmente, finora il più grande successo del leader spirituale consiste nella sua qualifica da parte del Dipartimento di Stato Usa di seria minaccia terroristica globale. Una designazione che lo ha trasformato nel potenziale bersaglio di un attacco con droni.Tuttavia, secondo Matt Bryden, direttore del think tank keniano Sahan Research, la scarsa rilevanza dimostrata finora dalla fazione dello Stato Islamico in Somalia, potrebbe trarre in inganno, perché sebbene le sue prospettive di espansione siano limitate, la costola dell’Isis in Africa orientale ha un potenziale sufficiente per costituire un serio pericolo.

È infatti evidente, che l’adesione di Mumin e dei suoi seguaci allo Stato Islamico ha contribuito a elevare il rischio di proliferazione di gruppi jihadisti nel nord della Somalia e innalzare la minaccia del terrorismo transnazionale in Africa orientale.

Articolo pubblicato su InsideOver

Categorie: Terrorismo | Lascia un commento

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