Perchè Obama non è riuscito a chiudere Guantanamo

Nel suo secondo giorno in carica del suo mandato iniziale da presidente degli Stati Uniti, Barack Obama emise un ordine esecutivo per cui il carcere di massima sicurezza di Guantanamo doveva essere chiuso entro un anno. Ciononostante, giunti alla fine della presidenza Obama, il campo di prigionia è ancora aperto e ospita 61 detenuti, venti dei quali sono in attesa di essere rimpatriati o trasferiti verso un paese terzo.

La prigione militare stanziata all’interno di una base navale statunitense sull’isola di Cuba costa ai contribuenti statunitensi 445 milioni dollari l’anno e dopo la sua apertura, nel gennaio 2002, ha ospitato 780 reclusi e attirato numerose polemiche riguardo alle sevizie ad essi inflitte, alle loro condizioni di reclusione e all’effettivo status giuridico-fattuale.

I detenuti sono sempre stati classificati come “combattenti irregolari”, ai quali non è mai stato applicato nessun diritto riservato dalla Convenzione di Ginevra ai prigionieri di guerra. In alcuni casi, è stata anche rilevata l’estraneità dei reclusi rispetto alle accuse contestate. L’ultimo dei quali è un afgano di nome Abdul Sahir, sospettato di fabbricare armi per al Qaeda. Lo scorso giugno, dopo quattordici anni il dipartimento della Difesa Usa ha ammesso che Sahir è stato “probabilmente identificato in maniera erronea”; mentre il vero armiere dell’organizzazione di Bin Laden era un uomo di nome Abdul Bari.

Obama, però, non è riuscito nel suo intento di chiudere Guantanamo e in tutti questi anni si è soprattutto cimentato nel difficile compito di rimpatriare o inviare in paesi terzi, centinaia di detenuti per i quali i tribunali militari avevano decretato il rilascio, dopo anni di detenzione senza alcuna incriminazione.

Il presidente Usa ha dovuto affrontare problemi enormi a riguardo, ma soprattutto la netta opposizione del Congresso, anche da parte democratica, all’idea di un eventuale trasferimento di detenuti sul territorio nazionale. Per questo, nella primavera 2013, decine di reclusi di Guantanamo decisero di intraprendere lo sciopero della fame riaccendendo le critiche e le condanne dalla parte della comunità internazionale, soprattutto dopo le denunce delle alimentazioni forzate cui venivano sottoposti. Tanto da spingere Obama a reiterare la volontà di chiudere Gitmo.

Dei 61 detenuti ospitati nel campo di prigionia, venti sono in attesa di essere rimpatriati o trasferiti verso un poaese terzo. Altri sette sono sottoposti a indagini preliminari e tre sono stati condannati. Ulteriori tredici sono in attesa della decisione della Commissione di revisione o della fissazione di un’imminente udienza. La stessa Commissione di revisione ha deciso di protrarre la detenzione per i restanti 18, considerandoli come una continua e significativa minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti.

Tra questi ultimi figurano Zayn al Abidin Mohammed Hussein, alias Abu Zubaydah, coinvolto negli attentati dell’agosto 1998 alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania; Khalid Sheikh Mohammed, reo confesso di aver architettato gli attacchi dell’11 settembre 2001 e Abd al Rahim al Nashiri, accusato di aver orchestrato l’attentato suicida dell’ottobre 2000 contro il cacciatorpediniere USS Cole, in cui morirono 17 marinai americani al largo delle coste dello Yemen meridionale.

C’è anche da evidenziare, come nel corso degli anni varie valutazioni del governo abbiano documentato che un congruo numero di detenuti liberati dalla prigione militare si è di nuovo invischiato nelle trame di gruppi jihadisti. L’ultima stima a riguardo è stata appena pubblicata dall’Ufficio del Direttore della National Intelligence (Odni) statunitense che rivela come 122 dei 693 detenuti liberati da Guantanamo, sono stati direttamente e nuovamente coinvolti in attività terroristiche.

La nota dimostra che la recidiva tra i prigionieri della base navale statunitense a Cuba è del 17,6%. Già nel 2009, il dipartimento della Difesa americano aveva registrato un aumento del numero dei detenuti di Gitmo, che dopo il rilascio si erano ricongiunti al network jihadista. L’Odni evidenzia anche le differenze di percentuali sotto l’amministrazione Bush e Obama. Nel primo caso, ben 113 su 532 (21,2%) reclusi scarcerati sono stati di nuovo coinvolti in episodi di terrorismo; mentre nell’epoca Obama la recidiva è di nove su 161 (5,6%).

Un esempio calzante è quello di un operativo di al Qaeda, il saudita Ibrahim al Rubaysh, rimpatriato da Guantanamo nel 2006 nell’ambito di un programma di “riabilitazione” sponsorizzato da Riyadh. Nel 2010, il dipartimento di Stato americano decise di offrire una ricompensa di cinque milioni di dollari a chiunque fosse in grado di fornire informazioni utili alla cattura di al Rubaysh, che rimase ucciso nell’aprile dello scorso anno durante l’attacco di un drone statunitense nel sud dello Yemen.

Nel tentativo di impedire a Obama di rilasciare altri terroristi, due settimane fa, un membro del Congresso dell’Indiana ha presentato una proposta di legge per fermare temporaneamente il trasferimento dei detenuti da Guantanamo. La Camera ha approvato il provvedimento la scorsa settimana con 244 voti favorevoli e 174 contrari, ma è altamente improbabile che il disegno venga ratificato anche dal Senato, che se decidesse a sorpresa di pronunciarsi a favore della misura, verrebbe comunque bloccato dal veto di Obama.

Articolo pubblicato su InsideOver

Categorie: Diritti umani, Terrorismo | Lascia un commento

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