Gli oltre cinque milioni di immigrati che vivono nel nostro paese producono un valore aggiunto pari quasi al fatturato Fiat e pagano le pensioni a 640mila italiani. Sono ottimi imprenditori ma ricevono in media solo il 2% della spesa pubblica, stipendi più bassi e pensioni irrisorie. Il Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa smantella le affermazioni di chi parla di “invasione” ed esamina il mercato del lavoro concentrandosi sugli aspetti legati all’impatto fiscale.
“L’immigrazione è un fenomeno strutturale che non terminerà di certo quando sarà cessata l’emergenza”. Così, Domenico Manzione, sottosegretario di Stato del ministero dell’Interno con delega all’immigrazione, ha introdotto i lavori della presentazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa di Mestre, tenuta ieri al Viminale.
Il contenuto dello studio, pubblicato con il contributo della Cgia di Mestre e con il patrocinio di Oim e Maecie giunto alla sesta edizione, si concentra su aspetti legati all’impatto fiscale, esaminando il mercato del lavoro, il gettito Irpef, il contributo al Pil e i contributi previdenziali versati dagli immigrati.
Le tematiche affrontate nella relazione sono state illustrate dal ricercatore della Fondazione Moressa Enrico Di Pasquale, che ha introdotto il suo intervento citando l’Agenda europea sull’immigrazione e sottolineando come il nostro paese sia al terzo posto in Europa per presenza di cittadini stranieri, dietro a Germania e Regno Unito.
Di Pasquale ha spiegato che l’alto posizionamento dell’Italia nella ricezione di stranieri stride con l’indice europeo di attrattività migratoria, che comprende i fattori che possono influenzare le scelte degli stranieri. L’indice si basa su due assi: il livello di benessere degli immigrati e l’integrazione. E l’Italia insieme alla Grecia è caratterizzata da bassi livelli di benessere e alti rischi di povertà cui si aggiunge problematiche di integrazione.
Richiamandosi a dati Istat, Di Pasquale ha poi spiegato che “la presenza della popolazione straniera in Italia nel 2016 ha superato i cinque milioni di persone producendo un’influenza significativa sul welfare italiano. Nello specifico i primi quattro paesi da dove arrivano gli immigrati sono Romania (con oltre un milione di presenze), Albania, Marocco e Cina”.
Il ricercatore ha quindi posto l’accento sul valore aggiunto prodotto dagli occupati stranieri che si quantifica nella produzione di 127 miliardi di ricchezza, di poco inferiore al fatturato del gruppo Fiat, o al valore aggiunto prodotto dal comparto industrialedei veicoli tedesco. Il contributo economico dell’immigrazione si traduce anchein 6,8 miliardi di Irpef versata, consistente nel 8,7% del totale versato dai contribuenti.
Dati in contrasto con la spesa destinata agli immigrati, che nel Rapporto risulta equivalente al 2% della spesa pubblica italiana. Un valore pari a 15 miliardi, ben distante dai 270 miliardi assorbiti dalle pensioni statali, per garantire le quali gli immigrati versano nelle casse dell’Inps 10,9 miliardi di contributi previdenziali consentendo il pagamento di 640mila pensioni degli italiani. Il paradosso però è che gli immigrati stessi, spesso vessati e sfruttati il più delle volte dai datori di lavoro italiani, ricevono poi pensioni irrisorie.
Di Pasquale ha quindi trattato uno dei punti critici dello studio, che scaturisce dal confronto tra gli stipendi e i redditi degli italiani e quelli degli immigrati. “Vi è un’elevata differenziazione del reddito, spiega lo studioso, tra famiglie autoctone e quelle immigrate, mediamente più povere e maggiormente vincolate al lavoro dipendente”.
Riguardo questo aspetto, il report rileva che tasso di occupazione degli stranieri è nettamente maggiore a quello degli italiani, ma nel 66% dei casi si tratta di lavori a bassa qualifica, che trovano solo in parte giustificazione daititoli di studio di livello inferiore comuni a la maggior parte della popolazione straniera. Da questa divergenza scaturiscono le differenziali di stipendio e reddito molto alti tra e italianie immigrati. Tale situazione determina un minore contributo fiscale da parte di questi ultimi, che in termini di Irpef si traduce in una differenza pro-capite tra italiani e stranieri di circa duemila euro.
Un ampio spazio è stato riservato anche alla buona capacità imprenditoriale degli immigrati nel nostro paese. L’argomento è stato trattato dal segretario generale della Confartigianato Cesare Fumagalli, che ha introdotto il suo intervento sottolineando “come ormai l’immigrazione rappresenti un fenomeno di rilevante consistenza economica e come il tessuto imprenditoriale straniero sia distribuito su tutto il territorio italiano”.
Una rilevanza determinata anche dal significativo sviluppo registrato dall’imprenditoria straniera, che secondo il Rapporto nel 2015 conta 656mila imprenditori immigrati e 550mila imprese a conduzione straniera, pari al 9,1% del totale. Da evidenziare anche come nel quinquennio 2011-2015, mentre le imprese condotte da italiani sono diminuite (-2,6%), quelle guidate da immigrati hanno registrato un incremento del 21,3%, contribuendo con 96 miliardi di euro alla creazione del 6,7% del valore aggiunto nazionale.
La lettura delle 214 pagine del Rapporto sembra voler smentire le affermazioni di alcuni politici che parlano di “invasione” e invocano maggiore rigore e severità per quanto concerne le norme che regolano l’immigrazione nel nostro paese.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it