La mutilazione genitale femminile è la parziale o totale rimozione degli organi sessuali femminili esterni. L’hanno subita circa 200 milioni tra bambine, donne e ragazze, soprattutto in Africa, Medio Oriente e Asia, come parte di un rito di passaggio all’età adulta. Una giovane guerriera Masai ha deciso di combattere contro questo orrore. Si chiama Nice Nailantei Leng’ete e questo è il racconto del suo coraggioso impegno, grazie al quale 10.500 africane sono state salvate dalla mutilazione.
Tra le vittime di questa violenza, 44 milioni sono bambine e adolescenti fino a 14 anni. In questa fascia di età, la prevalenza maggiore è stata riscontrata in Gambia, Mauritania e Indonesia, dove circa la metà delle adolescenti (con un’età fino a 11 anni) ha subito mutilazioni. I paesi dove è stata registrata la più alta incidenza di circoncisioni tra le ragazze e le donne di età compresa tra i 15 ei 49 anni, sono la Somalia (98%), la Guinea (97%) e Gibuti (93%).
La stragrande maggioranza, equivalente all’85%, delle mutilazioni genitali eseguite in Africa sono costituite dalla clitoridectomia e dall’escissione. La prima consiste nella rimozione parziale o totale del clitoride e, in casi molto rari, nell’asportazione del solo cappuccio del clitoride. L’escissione è una pratica, che in aggiunta alla rimozione del clitoride prevede anche l’ablazione delle piccole labbra.
La più cruenta forma di questa violenza contro le donne consiste nell’infibulazione, conosciuta anche come circoncisione faraonica, consistente nell’asportazione della clitoride, delle piccole labbra e nella cauterizzazione di parte delle grandi labbra vaginali, cui segue la cucitura della vulva, in modo da restringere l’apertura vaginale.
L’infibulazione è molto diffusa in Africa, dove è stato statisticamente rilevato che il 15% delle mutilazioni sono infibulazioni, che costituiscono anche la più lesiva forma di circoncisione per la salute psichica e fisica delle donne, costrette a subirla. La mutilazione genitale comporta anche complicazioni acute e croniche. Le prime includono il dolore, il sanguinamento, le infezioni e a volte la morte; mentre le complicazioni croniche si manifestano quando la ferita si rimargina, con serie conseguenze sulla salute materna. Alcuni esempi sono le fistole, l’infertilità e l’incapacità di partorire naturalmente, cosa che può provocare complicazioni ostetriche e anche la morte dei neonati, mentre le donne che hanno subito il ‘taglio’ non possono avere relazioni sessuali normali e il dolore durante il rapporto è tra loro un elemento comune.
La legge proibisce praticamente in tutto il mondo, inclusa l’Africa, la mutilazione genitale femminile, ciononostante questa pratica così ingiuriosa e dolorosa è ancora parte deiriti di passaggio dall’infanzia all’età adulta, soprattutto nelle comunità nomadi. In alcune regioni, la mutilazione identifica il momento in cui una ragazza è pronta per il matrimonio ed è così profondamente radicata nelle tradizioni da costituire parte integrante dell’identità comunitaria.
Il 20 dicembre 2012, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione per mettere al bando le mutilazioni genitali femminili. Negli anni sono stati compiuti vari progressi su questo fronte e oggi, 24 dei 29 paesi dove si concentravano maggiormente le mutilazioni genitali, hanno promulgato una normativa contro questa pratica. Il 6 febbraio dello scorso anno, in occasione della Giornata internazionale della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili, Amref Health Africa ha lanciato la campagna “Stop the cut” (Fermiamo il taglio).
Nel corso dell’iniziativa, la grande ong di Nairobi si è potuta avvalere di una testimonial di eccezione: la venticinquenne Nice Nailantei Leng’ete, una Masai, diventata una figura di rilievo per la battaglia di emancipazione delle donne africane. Nice è nata in Kenya, a Nomayianat, un villaggio rurale di pastori semi-nomadi poco lontano dalla città di Loitokitok, immerso nella savana dominata dal Kilimanjaro. Dopo la morte di entrambi i genitori, nel 1998, fu adottata da una zia e a nove anni, riuscì a salvarsi dall’infibulazione fuggendo da casa.
Unica voce fuori dal coro in una tribù patriarcale dominata da uomini, dopo qualche anno iniziò a sensibilizzare gli anziani del villaggio e più tardi anche i Moran, i giovani guerrieri maschi Masai, riguardo i pericolosi effetti delle mutilazioni genitali. Nel 2008, i capi villaggio la scelsero per farla diventare educatrice di comunità e lo stesso capo dei Moran riconobbe in lei un’importante protagonista del cambiamento conferendole l’esiere, il bastone nero, che simboleggia il potere maschile tra i Masai.
Ad oggi, Nice ha salvato più di 10.500 ragazze dalle mutilazioni genitali, coinvolgendole in attività di formazione sui diritti legati alla salute sessuale e riproduttiva, culminate in una celebrazione dei riti tribali di passaggio, che non contemplano le ancestrali pratiche della circoncisione.
Nel frattempo, la giovane e caparbia Masai ha conseguito una laurea in Management sanitario ed è diventata assistente dei progetti di Amref in Kenya. La sua figura ha acquisito risonanza internazionale, che l’ha portata a parlare della sua missione alla Clinton Global Initiative di New York e a conseguire il Mandela Washington Fellowship per i giovani leader africani.