Il serio rischio di innescare una grave crisi politica in Gambia è stato scongiurato. Sabato scorso, il braccio di ferro tra il presidente uscente Yahya Jammeh, che insisteva nel non voler riconoscere la sconfitta elettorale del primo dicembre, e la Cedeao si è risolto nella partenza dell’ex uomo forte di Banjul. Adesso spetta al suo successore Adama Barrow, l’arduo compito di riedificare una nazione troppo a lungo afflitta da dittatura e corruzione.
L’istrionico Jammeh ha lasciato il proprio paese per prendere la via dell’esilio in Guinea Equatoriale, dove è stato accolto dal presidente Teodoro Obiang e dalle vibranti proteste dell’opposizione, secondo cui, non dovrebbe avere la possibilità di ottenere asilo politico per il suo prolungato rifiuto di accettare il risultato della consultazione elettorale.
La partenza di Jammeh è stata favorita dalla mediazione del presidente guineano Alpha Condé e del mauritano Mohamed Ould Abdel Aziz, oltre che dalla minaccia dell’intervento armato di una coalizione di cinque nazioni africane della Cedeao, guidate dal Senegal.
L’uscita dalla scena politica di Babili Mansa (che nella locale lingua mandinka può essere tradotto come “conquistatore di fiumi”, titolo che nel giugno 2015 Jammeh ha aggiunto al suo nome), pone fine a quasi 23 anni di dominio incontrastato sulla più piccola nazione africana, governata nel totale disprezzo dei diritti umani. Come confermato dai numerosissimi casi di sparizioni, omicidi, arresti arbitrari e conseguenti torture nei confronti degli oppositori del regime. Tutto ampiamente documentato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite contro la tortura in un rapporto sul Gambia, presentato nel marzo dello scorso anno.
L’autocrate lascia un paese afflitto da estrema povertà, disoccupazione endemica e crisi economica, che negli anni hanno spinto soprattutto i giovani a migrare in condizioni drammatiche. Come nel caso della diciannovenne Fatim Jawara, portiere della nazionale femminile di calcio del Gambia, annegata lo scorso ottobre su un gommone partito da Misurata, mentre tentava la traversata del Mediterraneo per raggiungere Lampedusa.
L’ex presidente si è invece imbarcato su un aereo presidenziale messo a disposizione dall’ “amico” Condé, mentre nelle settimane antecedenti alla sua partenza avrebbe approfittato di diversi voli di un cargo ciadiano per portare via dal Gambia le sue auto di lusso e altri oggetti di valore. E per seguire il copione che ha segnato il commiato di altri dittatori africani, come Sani Abacha, Mobutu Sese Seko, Hissene Habré, Hosni Mubarak e Zine El-Abidine Ben Ali, prima di lasciare il Gambia Jammeh ha svuotato le casse dello Stato.
Quest’ultima notizia è stata diffusa dall’avvocato Mai Ahmad Fatty, un oppositore del deposto regime e adesso consigliere del nuovo presidente Adama Barrow. Fatty ha spiegato che «nel giro di due settimane sono stati ritirati 500 milioni di dalasi dalle casse dello Stato a nome di Jammeh». Vale a dire circa 11 milioni di dollari, in un paese con un Pil che non arriva a 939 milioni di dollari.
Per motivi di sicurezza, l’investitura del neo presidente Barrow ha avuto luogo il 19 gennaio in Senegal, dove era arrivato quattro giorni prima su invito dei leader della Cedeao, che hanno reputato più prudente che la cerimonia di insediamento si svolgesse nell’ambasciata gambiana di Dakar, considerata comunque territorio della piccola nazione africana.
Il nuovo presidente è tornato ieri pomeriggio in Gambia, dove per garantire l’insediamento del suo governo, la Cedeao ha schierato un contingente militare di 7mila uomini. Lunedì scorso, Barrow ha dichiarato alla Cnn che intende mantenere le forze straniere nel paese fino a quando il nuovo esecutivo non si sarà stabilmente insediato. Barrow, ha anche espresso il proposito di smantellare subito la Nia, il famigerato servizio di intelligence di Jammeh e di riformare per intero l’esercito gambiano, rimasto per oltre due decenni fedele all’ex presidente.
Negli ultimi mesi, l’Africa sub-sahariana è stata ripetutamente segnata da crisi di rilievo, legate allo svolgimento o al mancato svolgimento di elezioni. Primo tra tutti il recente caso della Repubblica democratica del Congo dove, lo scorso 19 dicembre, alla scadenza del proprio mandato il presidente Joseph Kabila si è rifiutato di lasciare il potere. E solo dopo cruenti scontri di piazza e lunghi e controversi negoziati, le elezioni sono state rinviate alla fine del 2017. Un altro caso emblematico è quello del Burundi, dove la mediazione dell’Unione Africana non ha fatto recedere il presidente Pierre Nkurunziza dalla volontà di ricandidarsi per un terzo illegittimo mandato, trascinando il paese sull’orlo della guerra civile.
La rapida risoluzione della crisi gambiana è spiegabile con i cattivi rapporti che Jammeh aveva instaurato nel tempo con il Senegal, a partire dal sostegno dato da Banjul ai i ribelli separatisti nella regione meridionale senegalese di Casamance. Appena ha avuto l’occasione, Dakar non ha esitato a togliere dalla scena politica un vicino scomodo come Jammeh, che adesso cercherà di sfuggire alla giustizia riparando in un paese che non riconosce la Corte penale internazionale, come la Guinea equatoriale.
Ma il presidente Barrow, ha già dichiarato che per il nuovo Gambia adesso non è tempo di processi e vendette contro Jammeh e i suoi sostenitori, ma di riedificare una nazione troppo a lungo afflitta da dittatura e corruzione.