L’Acled monitora l’evoluzione dei conflitti in Africa

«La natura dei conflitti armati in Africa è in rapida evoluzione, ripercuotendosi sul regresso delle operazioni militari su larga scala, sempre più spesso sostituite da scontri più limitati che coinvolgono molteplici attori». Lo rileva l’annuale Confict Trends – Analisi in tempo reale della violenza politica in Africa, realizzato dall’Acled per catalogare tutte le situazioni di conflitto in atto e operare la mappatura delle varie aree di crisi che interessano il continente, tra le quali spiccano Libia, Nigeria, Somalia e Sud Sudan.

Dallo studio realizzato dall’Armed Conflict Location and Event Data Project (Acled), diretto dalla studiosa di geografia e sviluppo internazinale Clionadh Raleigh dell’Università del Sussex, emerge chiaramente come a fronte di una riduzione delle classiche guerre civili che hanno insanguinato il subcontinente africano per decenni, vi è stato un netto incremento di conflitti violenti che vede protagoniste “più parti coesistenti” come milizie locali, movimenti di protesta e organizzazioni della società civile, fazioni ribelli e gruppi esterni come lo Stato islamico alla ricerca di partner locali.

Tutte queste realtà stanno prendendo il posto degli eserciti statuali regolari in qualità di attori principali in molti conflitti violenti, sebbene tale approccio comporti l’impiego di forme di violenza simili a quelle utilizzate dagli eserciti tradizionali, che includono attacchi contro i civili, bombardamenti, scontri con le forze di sicurezza, disordini. Tuttavia, il report sottolinea che i vari gruppi perseguono obiettivi distinti.

La ricerca rileva pure che alcuni governi africani ancora adottano il pugno di ferro per mantenere il potere, come conferma che circa il 34% degli incidenti nel 2016 ha visto il coinvolgimento di forze allineate o sostenute da Stati: un dato più elevato rispetto a quelli registrati dall’Acled negli ultimi anni.

Nel 2016, le principali aree di crisi del continente rimangono ancora Libia, Nigeria, Somalia e Sud Sudan. Secondo lo studio, nei i quattro paesi africani si registrano il 33% dei conflitti della macroregione, con livelli significativi di violenza e un elevato numero di vittime. Il dato registra una diminuzione rispetto al 35% del 2015 e al 40% del 2014. Ma ben il 55% di tutti i decessi attribuibili alla violenza politica si verificano proprio in questi quattro Stati, anche se pure questo dato è in calo di tre punti percentuali rispetto al 2015.

Tra queste aree più esposte alle crisi, la Somalia rimane quella dove si rileva il livello di rischio più elevato, con quasi il triplo del tasso di violenze degli altri tre paesi, ciascuno dei quali, lo scorso anno, aveva registrato circa 740 attacchi armati  organizzati. In pratica, il documento riscontra che la percentuale di violenza verificatesi nel 2016 in Somalia è equivalente alla percentuale combinata di Libia, Sud Sudan e Nigeria.

Ciononostante, i dati raccolti dall’Acled relativi alla mortalità, dimostrano che gli scontri in Somalia sono proporzionalmente meno letali. A registrare il più alto rapporto di decessi è la Nigeria, con 6,0 per singolo evento, rispetto ai 4,5 del Sud Sudan, ai 4,0 della Libia e ai 2,5 della Somalia. Altre differenze sorprendenti che scaturiscono dall’analisi, si riferiscono agli obiettivi delle violenze in due delle più importanti aree di crisi. La prima è la Nigeria, dove le vittime sono prevalentemente civili, mentre il conflitto libico registra un cospicuo numero di morti tra i miliziani che si affrontano in battaglia.

Peraltro, l’anno scorso nei due paesi è anche aumentato drammaticamente il numero di gruppi violenti: 66 in Libia, più del doppio di quelli attivi nel 2013, mentre in Nigeria sono saliti da 53 a 93, un incremento riconducibile alla rapida espansione della violenza settaria. Di contro, il numero di gruppi violenti in Somalia (156) e in Sud Sudan (69) è leggermente diminuito rispetto al 2015.

Il report segnala anche che nel 2016 altre crisi hanno determinato elevati tassi di violenza in vari Stati africani. Tra le quali sono incluse la crisi politico-istituzionale in Burundi, le guerre tribali in corso in Sudan, le proteste e i conflitti in Etiopia e le crescenti tensioni in Mozambico.

Secondo i ricercatori dell’Acled, la natura politica di questi conflitti a bassa intensità è tale che, a meno che non si trovino soluzioni rapide a livello di governo, è molto probabile che nel prossimo futuro potremo assistere al persistere o all’aumentare delle violenze, specialmente in Burundi e Mozambico.

Il Mozambico è passato da 19 episodi di violenza nel 2015 a 92 nel 2016. Mentre in Burundi il conflitto tra gruppi armati è diminuito, ma il dato riflette semplicemente le dinamiche di cambiamento del confronto in atto nel paese africano, dove piuttosto che cercare lo scontro diretto, le forze governative e le milizie armate fanno ampiamente ricorso alla violenza contro i civili disarmati e al compimento di omicidi politici mirati.

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