L’emergenza in atto in Sud Sudan ha generato un rilevante aumento degli sfollati e degli affamati in tutti i campi profughi dell’Etiopia, il paese africano che in assoluto ospita il maggior numero di rifugiati. L’Unhcr, dall’inizio di marzo, ha rilevato la presenza di oltre 356mila rifugiati sud-sudanesi nei campi etiopi nella regione di Gambella e un netto incremento del numero che sta attraversando il confine con il paese del Corno d’Africa, in fuga dalla guerra civile e ora anche dalla carestia.
La conferma dell’estrema gravità della situazione giunge dall’ultimo rapporto trimestrale Crop Prospects and Food Situation, pubblicato dalla Fao, nel quale viene evidenziato che «sebbene le condizioni dell’offerta alimentare mondiale siano solide, l’accesso al cibo si è drasticamente ridotto nelle aree dove sono in corso di conflitti civili, mentre la siccità sta facendo peggiorare la sicurezza alimentare in vaste aree dell’Africa orientale».
Per delineare più approfonditamente l’entità dell’emergenza in atto, è importante rilevare che dal 2007, lo “stato di carestia” viene proclamato nel quadro di un sistema mondiale di classificazione, la scala Ipc (Integrated Food Security Phase Classification), elaborata da diverse agenzie umanitarie. Secondo tale standard, la carestia viene ufficialmente conclamata quando il 20% della popolazione di una regione ha un accesso molto limitato al nutrimento di base, quando il tasso di mortalità supera le due persone su 10mila al giorno e la malnutrizione acuta colpisce più del 30% della popolazione.
Le Nazioni Unite, lo scorso 20 febbraio, hanno formalmente riconosciuto la carestia in Sud Sudan, precisando che nelle contee di Leer e Mayendit, nello Stato di Unity, 100mila persone rischiano di morire di fame. I sud-sudanesi che per sfuggire alle violenze di matrice tribale hanno lasciato il loro paese sono 1,6 milioni, su una popolazione complessiva che prima dello scoppio del conflitto raggiungeva i sei milioni. Questa enorme massa di profughi riversatisi nella regione circostante, che non ha sufficienti risorse per sostenere un esodo di tale portata, ha prodotto la terza crisi su scala mondiale per numero di rifugiati, dopo quelle di Siria e Afghanistan.
L’emergenza in atto ha generato un rilevante aumento degli sfollati e degli affamati in tutti i campi profughi dell’Africa orientale, dove la situazione sta diventando estremamente difficile, soprattutto in Etiopia, il paese africano che ospitail maggior numerodi rifugiati (800mila secondo le ultime stime Unhcr). L’Unhcr, dall’inizio di marzo, ha rilevato la presenza dioltre 356mila rifugiati sud-sudanesi nei campi etiopi nella regione di Gambella e un netto incremento del numero che sta attraversando il confine con l’Etiopia, in fuga dalla guerra civile e ora anche dalla carestia.
Il tasso di arrivo giornaliero è notevolmente salito da 103 persone nel mese di gennaio e 199 nel mese di febbraio a 660 finora in marzo. Tra il primo e l’11 marzo scorsi, 7.258 rifugiati sud-sudanesi sono arrivati nella regione di Gambella in Etiopia. Di questi, 3.967 sono arrivati nella settimana del 6-11 Marzo, che rappresenta un tasso di arrivo media giornaliera di 660 persone. L’ultimo afflusso ha portato il numero totale di rifugiati sud-sudanesi giunti in Etiopia dal settembre 2016 a 68.858.
La maggior parte dei nuovi arrivi sono stati trasferiti nel campo profughi di Nguenyyiel, l’ultima delle otto strutture approntate dall’Unhcr per aiutare chi proviene dal Sud Sudan. Nel campo profughi etiope si stanno registrando serie criticità. La struttura è stata aperta lo scorso ottobre per accogliere circa 4.500 rifugiati, dopo che gli altri campi nella regione di Gambella, Tierkidi, Jewi e Kuleavevano esaurito la loro ricettività.
Finora a Nguenyyiel sono arrivati circa 30mila profughi sud-sudanesi, ma il numero potrebbe lievitare sensibilmente entro il mese prossimo, mentre nel campo diventa sempre più problematica l’insufficiente dotazione di strutture sanitarie e la grave carenza idrica. Tra il primo febbraio e l’11 marzo 2017, un totale di 12,828 rifugiati hanno attraversato Pagak, una città di confine del Sud Sudan, che continua ad essere il principale punto di accesso attraverso cui i rifugiati sud-sudanesi entrano in Etiopia.
Secondo gli ultimi dati resi noti dall’Unhcr, il 65% del totale registrato dei nuovi arrivati a Pagak, sono bambini, tra cui 15.488 non accompagnati o separati dai genitori. Lascia sgomenti, che in una simile situazione il ministero del Lavoro e dei servizi pubblici sud-sudanese abbia aumentato da 100 a fino a 10mila dollari il costo dei permessi concessi ai lavoratori espatriati, imponendo in questo modo una pesante tassazione per ogni cooperante internazionale delle ong che operano in loco.
Un’iniziativa mirata a compensare il drastico calo dei ricavi petroliferi dell’ultimo biennio, che hanno duramente colpito le casse dello Stato, quasi totalmente dipendenti dalle entrate derivate dal greggio. Un provvedimento improvvido che Joel Charny, direttore del Norway Refugee Council USA, che ha una rappresentanza a Juba, ha definito «la misura sbagliata al momento sbagliato, entrata in vigore in un paese dove 100mila persone stanno morendo di fame e un altro 1 milione sono sull’orlo del baratro».