I pirati sono tornati a minacciare la sicurezza delle acque al largo della Somalia. Almeno quattro, nel mese di maggio, gli attacchi confermati dalle autorità locali: l’ultimo risale a sabato scorso quando un peschereccio sudcoreano con venti uomini di equipaggio a bordo è stato inseguito per più di un’ora da una motolancia corsara. Dopo cinque anni, è tornata a materializzarsi la minaccia degli assalti dei pirati somali a causa di una serie di fattori.
I pirati somali sono tornati in azione dal 13 marzo scorso, quando al largo delle coste di Alula, nel Puntland, hanno sequestro la petroliera Aris 13, battente bandiera delle isole Comore e di proprietà della emiratina Armi Shipping. La nave cisterna, partita da Gibuti e diretta al porto di Bosaso, è stata attaccata da un gruppo di due dozzine di uomini guidato da Jacfar Saciid Cabdulaahi, appartenente al clan Majerteen.
La Aris 13 è stata abbandonata senza condizioni dagli uomini di Cabdulaahi meno di quarantotto ore dopo, ma l’episodio ha segnato il risveglio dei pirati somali, come dimostrano gli altri undici tentativi di abbordaggio, che hanno fatto seguito al primo dirottamento di un’imbarcazione commerciale nella zona, dal 2012.
Dopo cinque anni, è tornata a materializzarsi la minaccia dei pirati somali, che tra il 2005 e il 2011 aveva reso altamente insicura l’area del Golfo di Aden e delle coste somale dell’Oceano Indiano, dove nel solo 2011, al culmine del fenomeno, si registrarono 237 attacchi, 736 persone e 32 mercantili tenuti in ostaggio, oltre a danni per circa 8 miliardi di dollari.
Gli analisti ritengono che il ritorno della pirateria sia dovuto a una serie di fattori quali la siccità, la carestia, la corruzione, l’aumento di armi di contrabbando e l’influenza dello Stato islamico. Anche se l’elemento preponderante è riconducibile al drastico ridimensionamento delle pattuglie dei diversi programmi di controllo marittimo internazionale.
La mancanza per lungo tempo di attacchi nella regione ha reso difficile per le forze internazionali giustificare il dispiegamento di schieramenti navali nel Golfo di Aden. Inoltre, molte delle pattuglie prima impegnate nel contrasto alla pirateria sono state spostate nel Mediterraneo per far fronte alla crisi dei migranti. Il fatto è che le condizioni che favorirono l’innescarsi della pirateria oltre dieci anni or sono non sono mutate. E le organizzazioni criminali che hanno perpetrato la pirateria sono ancora ben attive e solo pochi dei loro leader storici sono stati arrestati e condannati.
Va inoltre sottolineato che la pesca artigianale è danneggiata dalle autorizzazioni che le autorità locali hanno rilasciato ai pescherecci stranieri che praticano pesca illegale su larga scala nelle acque territoriali somale, distruggendo l’ecosistema costiero che fornisce sostentamento a gran parte della popolazione.
Oltre al rafforzamento del pattugliamento navale e all’adozione di nuove misure precauzionali, da parte delle società di navigazione, la soluzione più efficace per contenere e prevenire gli attacchi sarebbe quella di garantire alla popolazione locale più risorse ed entrate.
Tuttavia, il problema sembra essere stato relegato ai margini dell’agenda internazionale, perché, come sottolineato in un recente articolo dell’Economist: «La mancanza di vittime straniere [piuttosto che locali] ha reso facile spostare altrove l’attenzione dei media internazionali, ma fino a quando la pirateria non cesserà di essere un’interessante opportunità di business rimarrà una piaga».
Articolo pubblicato su Nigrizia.it