Sono trascorsi cinquant’anni anni, da quando il 30 maggio 1967 il tenente colonnello Chukwuemeka Odumegwu-Ojukwu dichiarò l’indipendenza del Biafra, lacerando nelle fondamenta l’unità della Nigeria e innescando un sanguinoso conflitto. In tutto questo tempo, lo spettro della guerra del Biafra è tornato più volte a materializzarsi attraverso spinte secessioniste, che Abuja ha cercato anche di reprimere duramente.
La secessione della regione sud-orientale della Nigeria popolata all’epoca da 13,5 milioni di abitanti per lo più cristiani, animisti e per due terzi di etnia Igbo, provocò una guerra civile con un milione e 200mila morti, tra soldati e civili. È importante anche evidenziare, che quello del Biafra non fu solo un conflitto etnico come quelli che caratterizzano oggi le guerre africane, ma anche uno scontro fra diverse concezioni dello Stato e del governo, il cui detonatore era racchiuso nella spartizione di risorse economiche, in primis il petrolio e le materie prime.
Dopo la secessione, il nuovo governo proclamò Enugu capitale della Repubblica del Biafra e iniziò a confiscare le risorse federali. Il governo federale di Lagos rispose inizialmente con un blocco economico e dopo diversi tentativi di instaurare un dialogo diplomatico, il 6 luglio 1967 l’esercito nigeriano decise di invadere l’enclave secessionista riprendendo in pochi giorni il controllo delle città di Garkem e Nsukka.
La controffensiva delle truppe biafrane partì il 19 luglio nella zona centro-occidentale della Nigeria, oltre il fiume Niger e attraverso Benin City, capitale dello Stato di Edo, fino a raggiungere il 21 agosto la città di Ore, nello Stato di Ondo, vicino al confine con il Benin.
Le forze del Biafra vennero così a trovarsi ad appena 200 chilometri dalla capitale Lagos, dove per respingere l’avanzata, lo Stato maggiore nigeriano dovette schierare quattro battaglioni della seconda divisione di fanteria. Dopo aver ripreso Benin City, il 22 settembre, i soldati federali tentarono di oltrepassare il fiume Niger, ma furono respinti per ben tre volte. Nel nord, le forze biafrane furono costrette a ritirarsi dai territori non Igbo, mentre Enugu, fu presa il 4 ottobre, obbligando il governo biafrano a trasferire la capitale a Umuahia, dove rimase per più di due anni.
All’inizio del 1968, non riuscendo a fare breccia in modo decisivo nelle linee nemiche, i nigeriani diedero inizio a un lungo assedio mettendo in atto un blocco navale, terrestre e aereo. I federali registrarono progressi fra aprile e giugno, conquistando il 19 maggio Port Harcourt e stringendo ulteriormente il cerchio attorno ai secessionisti. Poi, per tutto il 1968 e parte del 1969, difficoltà logistiche impedirono alle forze nigeriane di porre fine all’aspro conflitto, pur riuscendo a ridurre progressivamente l’estensione del territorio controllato dal Biafra.
Le milizie biafrane tentarono un’ultima disperata controffensiva nel giugno del 1969, sostenuti anche da mercenari stranieri. Pur presi alla sprovvista, i nigeriani riuscirono a respingere il contrattacco e il 23 dicembre 1969, una divisione dell’esercito governativo riuscì a spezzare in due la repubblica ribelle. L’offensiva finale fu lanciata il 7 gennaio 1970. La città di Owerri, dove era stata spostata la capitale dopo la caduta di Umuahia, fu espugnata il 9 gennaio e due giorni dopo fu la volta della città di Uli. Il 13 gennaio si arrese anche l’ultima roccaforte biafrana, Amichi.
In pieno collasso militare e umanitario, Odumegwu-Ojukwu fuggì in esilio in Costa d’Avorio, lasciando al suo luogotenente Philip Effiong l’ingrato compito di occuparsi della resa. La Repubblica del Biafra concluse la sua breve esperienza di autogoverno il 15 gennaio 1970. Durante i 32 mesi della sua esistenza venne riconosciuta solo da cinque paesi: Gabon, Haiti, Zambia, Costa d’Avorio e Tanzania.
Tuttavia, malgrado la mancanza di un riconoscimento ufficiale, altri Stati fornirono assistenza militare al Biafra, come Francia, Spagna, Israele, Cina, Benin e Sudafrica. L’aiuto più importante giunse però dal Portogallo, che nella sua colonia di São Tomè e Principe stabilì un centro di raccolta di aiuti umanitari per far fronte alla crisi umanitaria causata dal conflitto.
Un’emergenza senza precedenti, culminata in una drammatica carestia che ridusse alla fame più di dieci milioni di persone e ne uccise decine di migliaia (forse addirittura un milione). Il mondo apprese della tragedia nel 1968 attraverso i primi filmati in bianco e nero trasmessi dai telegiornali, nei quali comparivano i volti dei bambini biafrani sofferenti con l’addome gonfio di liquido ascitico, a causa della malnutrizione e della presenza concomitante di vermi intestinali.
Per soccorrere la popolazione stremata dalla fame, molti volontari, spezzando l’embargo, organizzarono ponti aerei tra Lagos e le principali città che le truppe governative avevano ripreso ai secessionisti: Enugu, Port Harcourt e Calbar, dove la popolazione era ammassata nei campi profughi senza possibilità di sfamarsi.
I volontari della Croce Rossa furono in più occasioni attaccati dall’esercito regolare e raccontarono al mondo le condizioni disastrose in cui versava il popolo del Biafra. La mobilitazione generale delle organizzazioni non governative internazionali fu imponente: la Charitas internationalis diede vita all’operazione umanitaria più importante della sua storia, dopo i programmi di assistenza ai rifugiati della seconda guerra mondiale.
La guerra del Biafra è stata anche all’origine della nascita di Medici senza Frontiere, voluta da un gruppo di dottori francesi, che colpiti dalle dimensioni della tragedia e non soddisfatti del lavoro delle istituzioni internazionali decisero di intervenire dando vita, nel dicembre 1971, all’organizzazione ancora attiva negli interventi di emergenza sanitaria nelle più gravi catastrofi.
Come ritorsione nei confronti degli Igbo, nell’immediato dopoguerra, il governo federale applicò una serie di misure restrittive come la limitazione all’accesso ai conti correnti e diede corso a pesanti discriminazioni nell’impiego pubblico e spesso anche in quello privato. Mentre l’amministrazione di alcune delle città con forte presenza Igbo, venne affidata a gruppi etnici rivali come gli Ijaw e Ikwerre. E nei primi anni settanta gli Igbo divennero uno dei gruppi più poveri di tutta la Nigeria e l’insoddisfazione verso il governo centrale non è mai venuta meno.