Camerun, l’Icg lancia l’allarme sulla crisi anglofona

Le proteste della popolazione di lingua inglese in Camerun contro il governo centrale sembrano essere sfuggite di mano al presidente Paul Biya, mentre la violenta repressione ha ottenuto solo il rafforzamento del movimento indipendentista delle regioni occidentali a maggioranza anglofona. Lo sostiene un nuovo report di Icg, secondo cui la situazione è al limite dello scontro armato, ma può ancora rientrare con immediate concessioni autonomiste.

«Il ritardo delle autorità camerunesi nel trovare soluzioni politiche alla crisi nelle regioni anglofone potrebbe provocare lo scoppio di una rivolta armata, che avrebbe un pesante impatto anche nella zona francofona». Lo sostiene il sopracitato rapporto dell’International Crisis Group, dedicato all’aggravamento della crisi originata dalle rivendicazioni indipendentiste delle due regioni di lingua inglese del Camerun.

Gli analisti del think tank di Bruxelles evidenziano che la repressione operata dalle forze dell’ordine camerunensi durante le manifestazioni di piazza dello scorso primo ottobre, indette per celebrare il 56° anniversario dell’indipendenza del Camerun anglofono dalla Gran Bretagna, rappresenta il culmine di una nuova fase di escalation della crisi.

Il report ricorda che, il primo ottobre, decine di migliaia di persone hanno organizzato una marcia pacifica per proclamare l’indipendenza dell’Ambazonia (il nome dato dai secessionisti al loro stato ipotetico, che deriva da Ambas Bay, una baia considerata il confine naturale tra la Repubblica del Camerun e il Camerun meridionale). Nel corso delle manifestazioni, i secessionisti hanno marciato in decine di città camerunensi e issato bandiere ambazoniane sulle sedi dei vari governatorati, oltre che sulle stazioni di polizia e postazioni di gendarmeria.

Le forze di sicurezza hanno represso con violenza le manifestazioni, causando tra il 28 settembre e il 2 ottobre, almeno quaranta morti e oltre cento feriti. L’elevato numero di manifestanti uccisi è stato prodotto dall’utilizzo di armi da fuoco e dall’uso indiscriminato di gas lacrimogeni da parte della polizia, anche contro i fedeli all’uscita dalla messa domenicale.

Il rapporto rileva inoltre che le forze dell’ordine hanno arrestato centinaia di persone senza regolare mandato, alcune delle quali anche nelle loro case. Molti dei fermati hanno inoltre subito abusi e torture da parte dei soldati e della polizia, che per fermare le manifestazioni a Kumba, Bamenda e Buea ha anche impiegato gli elicotteri.

Un clima di repressione generalizzata, sottolineato dalle misure straordinarie adottate nei cinque giorni di proteste dai due governatori delle regioni del Nordovest e del Sudovest, che non hanno esitato a proclamare il coprifuoco e lo stato di emergenza. Oltre al divieto di riunirsi in più di quattro persone, l’invio di migliaia di soldati a presidiare le strade, tra cui anche le truppe scelte dei battaglioni di intervento rapido, impiegate nel nord del paese per combattere i terroristi di Boko Haram.

La violenza senza precedenti, registrata tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre nelle regioni anglofone del Camerun, ha acuito la frattura tra il governo e la popolazione, esacerbando il clima di sfiducia e consentendo all’idea di secessione di guadagnare sempre più terreno.

Nonostante il movimento secessionista non abbia il sostegno della maggioranza della popolazione delle due province, sono sempre di più quelli che ritengono che la secessione sia la soluzione migliore per risolvere la questione anglofona. Da tempo, non rappresentano più una minoranza insignificante e sarà difficile ignorare la loro opinione nell’ambito di un dialogo politico inclusivo.

La violenta repressione ha inoltre aumentato il numero dei sostenitori del federalismo. Nel mese di giugno, molti federalisti si dichiaravano disposti ad “accontentarsi” della decentralizzazione. Ma dopo gli scontri dell’inizio del mese, molti di loro non considerano più il decentramento come una soluzione accettabile.

Il report conclude sottolineando che le raccomandazioni contenute in un altro rapporto dello scorso agosto sulla crisi anglofona sono ancora valide, ma la gravità della situazione richiede un’azione più urgente. Nuove riforme in chiave autonomista dovrebbero essere varate prima possibile e precedute da un dialogo inclusivo al più alto livello per sviluppare soluzioni a lungo termine orientate a favorire la minoranza anglofona politicamente, culturalmente ed economicamente emarginata.

Inoltre, il peggioramento della crisi richiederebbe l’intervento di un mediatore credibile, come l’Ufficio regionale delle Nazioni Unite per l’Africa centrale (Unoca) o l’Unione africana.

Articolo pubblicato su Nigrizia.it

Categorie: Secessionismo | Lascia un commento

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