Ogni anno centinaia di migliaia di persone sono detenute negli ospedali contro la loro volontà. Il loro crimine? Essere troppo poveri per poter pagare il conto del ricovero. Questo fenomeno è particolarmente rilevante in diversi paesi africani come Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Ghana, Camerum, Zimbabwe e Kenya. Le puerpere e i neonati sono il gruppo più colpito. La detenzione è spesso accompagnata da abusi e violenze.
I pazienti detenuti in Burundi
Sorpresa, smarrimento, indignazione: queste furono le sensazioni prodotte dalla lettura di un articolo pubblicato nel 2008 dalla rivista Health Policy and Planning. L’articolo era stato scritto da rappresentanti di associazioni per i diritti civili, che avendo visitato i principali ospedali pubblici del Burundi, avevano constatato che quasi ovunque i pazienti che non erano in grado di pagare la retta venivano costretti in condizioni di detenzione in locali dello stesso ospedale (ambienti sovraffollati, scarso cibo, pessima igiene e naturalmente nessuna cura).
La liberazione avveniva solo dietro il saldo del debito, cosicché la detenzione poteva durare settimane o mesi. Se il paziente moriva, l’ospedale tratteneva la salma finché i familiari non pagavano. Nel principale ospedale della capitale Bujumbura, nel 2005, il numero di pazienti insolventi fu di 422.
Leggendo uno degli ultimi editoriali di Lancet, si scopre che la pratica della detenzione dei pazienti che non pagano la retta ospedaliera è una pratica diffusa in molti paesi dell’Africa sub-sahariana, in India e in Indonesia. «La prigione a causa dei debiti ha una lunga storia».
«In Inghilterra, per esempio – si legge nell’editoriale – nel XVIII e XIX secolo migliaia di persone finirono il galera per non aver pagato i debiti. Sebbene ciò non avvenga più da noi, in altre parti del mondo la prigione per debiti non pagati è un’evenienza ben nota. Meno conosciuta, tuttavia, è la detenzione ospedaliera, la pratica di trattenere in ospedale le persone contro la loro volontà, non perché le condizioni cliniche lo richiedano, ma a causa del conto non pagato».
Troppo poveri per pagare il ricovero
È merito del Centre on Global Health Security aver raccolto e analizzato una notevole mole di dati che sono serviti per pubblicare un research paper dal titolo Hospital Detention for Non-payment of Fees. Ogni anno centinaia di migliaia di persone, si legge nel Rapporto, sono detenute negli ospedali contro la loro volontà. Il loro crimime? Essere troppo poveri per poter pagare lo user fees, ovvero il conto del ricovero.
Questo fenomeno è particolarmente rilevante in diversi paesi africani come Nigeria, Repubblica democratica del Congo (Rdc), Ghana, Camerun, Zimbabwe e Kenya. In uno studio effettuato nella RdC nel 2016 è emerso che il 54% delle donne che avevano partorito aveva subito la detenzione a causa del non pagamento delle fees.
Tre storie dalla Nigeria
In Nigeria sono riportate tre storie al riguardo: una ha coinvolto una madre e il suo piccolo figlio che sono stati trattenuti per quattro mesi dopo un taglio cesareo al God Cures Hospital a Lagos. La seconda riguarda un candidato alle elezioni locali che per attirarsi i consensi ha pagato i conti dell’ospedale (pubblico) a delle donne detenute dopo il parto.
La terza è paradossale: la protagonista è la moglie del governatore dello stato nigeriano di Abia, che pagando il conto in sospeso ha liberato sette puerpere e il loro bambini (vedi foto). Il paradosso è racchiuso nel fatto che quell’ospedale pubblico è sotto la responsabilità del marito della benefattrice. L’oscena pratica della detenzione ospedaliera viene esercitata prevalentemente su mamme e neonati (in assoluto il gruppo più fragile della popolazione), ma anche su altri tipi di pazienti, come le vittime di incidenti stradali e i pazienti oncologici.
La ricerca rileva che queste forme di detenzione, oltre a privare le vittime della libertà, si accompagnano spesso a ogni genere di abusi e umiliazioni: dal rifiuto dell’assistenza medica e del cibo, alla convivenza forzata in ambienti sovraffollati, alle violenze fisiche e agli abusi sessuali. A Nairobi, pazienti del Kenyatta National Hospital, sono state costrette a fare sesso con il personale dell’ospedale in cambio di soldi per pagare le fees e tornare libere.
«Queste detenzioni e i relativi abusi – afferma il rapporto – avvengono in contrasto con molte leggi internazionali e in aperta violazione con i diritti umani. Ed è particolarmente scioccante che ciò avvenga in strutture sanitarie che per principio dovrebbero proteggere e migliorare le condizioni delle persone più vulnerabili».
Le radici della detenzione ospedaliera
Nel 1987 la Banca Mondiale, impegnata a trasferire anche nella sanità le politiche neo-liberiste propugnate dai suoi principali “azionisti”, Usa e Regno Unito, pubblicò un rapporto su come si sarebbero dovuti finanziare i servizi sanitari dei paesi in via di sviluppo.
Al primo punto della ricetta stava l’introduzione delle user fees, ovvero il pagamento delle prestazioni da parte degli utenti delle strutture sanitarie pubbliche. Gli altri tre punti riguardavano nell’ordine: favorire la privatizzazione dei servizi sanitari; promuovere le assicurazioni; decentrare il governo della sanità.
Le quattro prescrizioni sulla sanità della Banca Mondiale altro non erano che il corollario di una più ampia prescrizione contenuta nelle politiche di “aggiustamento strutturale” di quegli anni: la drastica riduzione della spesa pubblica, in particolare quella indirizzata alla sanità e all’istruzione (ai giorni nostri denominate in Europa “politiche di austerità”).
A causa di ciò gli ospedali pubblici di molti paesi, ricevendo fondi assolutamente insufficienti dal governo, hanno dovuto basare la loro sopravvivenza (salari dei dipendenti, approvvigionamento di farmaci, ecc.) sulle fees riscosse dai pazienti. A quel punto la detenzione ospedaliera diventa il definitivo strumento di pressione per coloro che non sono in grado di pagare. Uno strumento illegale che nessun governo ha avuto il coraggio di autorizzare.
«E’ importante – afferma il rapporto – che i governi stabiliscano che la detenzione nelle strutture sanitarie è illegale, ma è improbabile che queste pratiche cessino se i governi non forniscono agli ospedali le risorse necessarie per coprire i costi. Nello Zimbabwe la detenzione nei reparti di maternità degli ospedali pubblici è continuata nonostante una direttiva ufficiale del governo contro questa pratica. Anche in Kenya una legge del 2013 stabilisce che l’assistenza al parto sia gratuita, ma il finanziamento inadeguato degli ospedali pubblici ha reso inapplicabile la norma e la detenzione post-partum continua a verificarsi».
Le lacrime di coccodrillo della Banca mondiale
Alla fine la Banca Mondiale ha sconfessato le sue politiche sulle user fees del 1987 e lo ha fatto nel maggio 2013, quando il presidente dell’Istituto di Washington, Jim Yong Kim, rivolgendosi all’Assemblea dell’Oms ha affermato: «Per prima cosa dobbiamo fare in modo che nessuna famiglia al mondo debba precipitare nella povertà a causa delle spese mediche. Secondo le stime correnti le spese out-of-pocket per la salute spingono cento milioni di persone nella povertà estrema e altre 150 milioni sono costrette a indebitarsi. (…) Chiunque si trova in prima linea nell’assistenza sanitaria, sa bene che anche piccole somme da pagare possono ridurre drasticamente l’utilizzazione di servizi di cui hanno bisogno. Tutto ciò è ingiusto e non necessario». Tardive lacrime di coccodrillo.
Chiudiamo con una buona notizia, tornando a parlare di Burundi. In seguito alla denuncia della detenzione ospedaliera pubblicata nel 2008 sulla rivista Health Policy and Planning, il governo decise di esentare dalle user fees le donne in gravidanza e i bambini, fornendo agli ospedali le risorse necessarie per la loro assistenza, con il risultato di ridurre del 43% la mortalità infantile.
Fonte: saluteinternazionale.info