Uno studio condotto da un équipe di ricercatori delle più importanti Università dell’Africa australe ha rivelato che i pazienti sottoposti a un intervento chirurgico in Africa hanno più del doppio delle probabilità di morire rispetto alla media globale. Il report, pubblicato sulla storica rivista medica The Lancet, ha riscontrato che i tassi di mortalità post-chirurgica nel continente sono pari al 2,1% più del doppio rispetto alla media globale dell’1%.
Un dato allarmante e in netta contraddizione col fatto, che teoricamente i pazienti che vanno sotto i ferri in Africa dovrebbero avere un profilo di rischio più basso rispetto a quelli dei paesi sviluppati, in quanto sono generalmente più giovani e nella maggior parte dei casi sottoposti a interventi di chirurgia minore.
Il fattore più preoccupante che emerge dalla ricerca è il ridotto numero di africani che hanno accesso alla chirurgia elettiva, quella inerente le operazioni che si possono programmare e differire perché riguardano patologie non immediatamente pericolose per la vita o per la funzione di un organo (per esempio gli interventi di cataratta e di protesi d’anca). Questo tipo di operazioni in Africa sono praticate in numero venti volte inferiore alla domanda.
Uno degli autori dello studio, Bruce Biccard, professore associato presso il Dipartimento di anestesia e medicina perioperatoria dell’Università di Cape Town, ha spiegato al Guardian che il problema principale è la mancanza di personale medico e di strutture per individuare complicazioni post-operatorie. Ci sono in media 0,7 specialisti tra chirurghi, ostetrici e anestesisti su 100mila pazienti in Africa e non stupisce dunque che un paziente su cinque registri complicazioni post-operatorie.
L’intervento chirurgico più comune praticato in Africa è il parto cesareo, che rappresenta il 33% delle operazioni, mente la complicanza post-operatoria più ricorrente è costituita dalle infezioni.
Da sottolineare, che si tratta del più importante studio del genere su larga scala mai intrapreso in Africa, elaborato analizzando i dati di 11.422 pazienti adulti in venticinque paesi, tra cui Etiopia, Nigeria, Egitto e Sudafrica.
Tuttavia, i ricercatori non hanno potuto operare confronti tra tutte queste nazioni africane, poiché solo pochi dei paesi esaminati dispongono di registri nazionali o di sistemi di controllo per monitorare le procedure chirurgiche e gli esiti successivi.