Dopo 13 anni dall’ultima impiccagione, il presidente Museveni vuole ripristinare la pena capitale in Uganda, prevista per ben 28 reati: il numero più alto di tutta l’Africa orientale. Mentre 278 persone sono in attesa dell’esecuzione nel braccio della morte. Una decisione in netto contrasto con la tendenza abolizionista, ma vale pena ricordare che prima di essere esautorato, anche Robert Mugabe, invocava il ritorno del boia nello Zimbabwe.
L’annuncio è arrivato la settimana scorsa direttamente da Museveni, che ha lanciato il proclama nel corso della cerimonia del giuramento delle nuove guardie carcerarie, che ha avuto luogo nel penitenziario di massima sicurezza di Luzira, situato nella periferia della capitale Kampala. Il capo di stato ha voluto sottolineare anche su Twitter come in tutti questi anni le sue radici cristiane gli hanno impedito di proseguire con le esecuzioni, ma l’indulgenza sta incoraggiando i criminali, che pensano di riuscire a farla franca.
Lo stesso concetto è stato ribadito due giorni fa sui principali giornali ugandesi. La prospettiva di far tornare al lavoro il boia in Uganda è davvero poco rassicurante, se consideriamo che il codice penale locale prevede la possibilità di finire sul patibolo per ben 28 reati. Mentre 78 dei 278 detenuti nel braccio della morte sono in attesa di esecuzione dopo aver esaurito tutti i gradi di giudizio, con la conferma della pena capitale da parte della Corte Suprema. Saranno dunque i primi a essere giustiziati, a meno che non verranno graziati dal presidente.
Tra le ultime esecuzioni di prigionieri nel braccio della morte, suscitò particolare scalpore quella del 28 aprile 1999, quando Hajji Musa Sebirumbi, presidente dell’Uganda People’s Congress durante il secondo governo di Milton Obote, fu impiccato nel carcere di Luzira insieme ad altri 27 condannati per l’omicidio di cinque collaborazionisti dell’Esercito di resistenza nazionale di Museveni.
Errori giudiziari molto frequenti
Il direttore esecutivo della Fondazione per l’iniziativa sui diritti umani dell’Uganda, Livingstone Ssewanyana, si è dichiarato convinto che «la ripresa delle esecuzioni dei prigionieri non metterà fine ai crimini». Ssewanyan, ha inoltre osservato, che le capacità investigative delle autorità competenti sono talmente deboli che gli errori giudiziari sono molto frequenti. Anche Oluwatosin Popola, ricercatore di Amnesty International contro la pena di morte, ha affermato che «se il presidente Museveni firmasse le esecuzionidei condannati, la decisione sarebbe “fuorviante” poiché non ci sono prove attendibili per confermare che la pena di morte sia un deterrente per il crimine. Mentre è palese che rappresentauna punizione definitiva, crudele, inumana e una violazione del diritto alla vita».
Criminalità in aumento
Negli ultimi anni, la criminalità in Uganda è aumentata: l’anno scorso, in soliquattro mesi, a Kampala sono state uccise venti donne. I detrattori del governo sostengono che la polizia è più impegnata nel perseguire gli avversari di Museveni, che nel catturare i criminali. La polizia sembra non avere la capacità di indagare sui crimini in modo efficace, mentre si riscontrano gravi falle nel sistema giudiziario.
Altri invece pensano che Museveni, al potere dal 1986, non avrebbe davvero l’intenzione di ricominciare a far eseguire sentenze capitali. Nicolas Opiyo, avvocato e fondatore della Ong Chapter Four Uganda, impegnata nella tutela dei diritti umani, è dell’idea che l’annuncio non sia da prendere troppo sul serio. Secondo l’attivista, la dichiarazione del presidente avrebbe solo l’obiettivo di sostenere la sua popolarità, minata dalla recente decisione di modificare la Costituzioneper poter candidarsi di nuovo alle prossime elezioni del 2021.
Originariamente, la Costituzione ugandese vietava a chiunque avesse più di 75 anni di candidarsi alla presidenza. Ma Museveni, che governa il paese africano da quasi 32 anni, ha scelto di riformare la Carta per avere la possibilità di concorrere a un altro mandato. Da ricordare, che pochi giorni prima di essere deposto anche l’ex presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, aveva invocato la ripresa delle esecuzioni sospese nel 2005, come deterrente al crescente tasso di omicidi nel paese australe. Sembra proprio, che i presidenti africani a vita per restare incollati alla poltrona siano disposti a ricorrere anche al ritorno del boia.
Progressi sull’abolizione della pena di morte in Africa
Secondo Amnesty International, negli ultimi anni l’Africa subsahariana sta compiendo significativi progressi sulla cancellazione della pena di morte. Nel 2015, Repubblica del Congo e Madagascar hanno abolito la pena capitale e nel 2016, il loro esempio è stato seguito da Benin e Guinea Conacry, sebbene quest’ultima possa ancora applicarla in caso di crimini eccezionali.
Lo stesso anno, il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta ha commutato in pene detentive a vita tutte le condanne a morte dei 2.747 detenuti, che erano in attesa d’esecuzione nelle carceri del paese.C’è però da rilevare che sempre nel 2016, 16 persone sono state giustiziate in Botswana e un numero ben più alto in Nigeria, dove sono state emesseanche 527 condanne a morte.