Da oltre dieci anni, la Nigeria è teatro di scontri tra pastori seminomadi fulani, a maggioranza musulmana, e agricoltori stanziali in prevalenza cristiani. All’origine delle violenze però non c’è la contrapposizione religiosa, ma la lotta per il posseso di nuovi terreni per il pascolo delle mandrie e il controllo dell’acqua. E mentre gli scontri si radicalizzano, il governo centrale non è ancora riuscito a trovare soluzioni valide per arginare la crisi.
Il sanguinoso conflitto tra pastori seminomadi e contadini ha già provocato migliaia di morti, lo sfollamento di 62mila persone dagli Stati centrali di Kaduna, Nasarawa, Benue, Plateau e a livello economico finora ha inciso sulle casse statali con una perdita annua di 13,7 miliardi di dollari. Di contro, la risposta governativa, sia a livello federale che statale, a quella che è diventata una grave minaccia per la sicurezza nazionale, si è dimostrata del tutto insufficiente, mentre il conflitto da una semplice disputa per il controllo della terra si è andato costantemente aggravando, soprattutto nel nord del paese.
All’origine dell’atavica ostilità tra pastori transumanti e agricoltori stanziali c’è la ricerca di nuovi terreni e spazi vitali per l’allevamento delle mandrie, il possesso e il controllo dell’acqua, la chiusura delle tradizionali vie di migrazione, il furto di bestiame e i danni arrecati alle coltivazioni dalla siccità. Sebbene, in un suo recente studio, l’International Crisis Group di Bruxelles ha rilevato che le radici del conflitto sono più profonde e vanno ricercate nella desertificazione, che ha degradato i pascoli e prosciugato molte fonti di approvvigionamento idrico nella cintura saheliana settentrionale della Nigeria.
Per contrastare la desertificazione e i suoi effetti sullo sviluppo rurale, il governo centrale di Abuja ha intrapreso diverse strategie, ma ciononostante il Sahara continua a spostarsi verso il sud del paese di seicento metri all’anno. Provando a inquadrare meglio la situazione, va precisato che storicamente i pastori seminomadi sono fulani, uno dei più grandi gruppi etnici dell’Africa occidentale, di religione musulmana e presenti in almeno dieci paesi della regione. I pastori fulani migrano ogni anno da nord a sud alla ricerca di pascoli e mercati per le loro mandrie. Tuttavia, lo spostamento, che un tempo era stagionale, si è significativamente intensificato a causa dell’espandersi della desertificazione, della siccità e dell’erosione della superficie nel nord della Nigeria.
I mandriani fulani adesso si muovono sempre più spesso alla ricerca di pascoli verdi verso sud, causando la devastazione di raccolti e terreni coltivati dagli agricoltori, che in prevalenza sono cristiani. Sull’aumento dello spostamento dei fulani ha influito anche il rilevante prosciugamento del Lago Ciad, situato nell’estremo nord-est della Nigeria. Così, molti mandriani fulani, che un tempo facevano affidamento sulle risorse idriche del lago, sono stati costretti a spostarsi verso la parte meridionale del paese, in cerca di pascoli e acqua per il loro bestiame.
Di conseguenza, il conflitto che un tempo era limitato al nord, ha ampliato le sue dimensioni, diventando un problema importante anche per il sud del paese. Questo perché la diffusa devastazione ambientale ha costretto i fulani a migrare da tutta l’Africa occidentale verso il sud della Nigeria, che non è stata in grado di bloccare il massiccio arrivo di pastori lungo i suoi estesi confini.
L’ingente afflusso ha sconvolto le dinamiche e le relazioni esistenti tra le comunità locali prevalentemente agricole e i mandriani nomadi. Ed è importante osservare che per spiegare le motivazioni all’origine del conflitto spesso è prevalsa la narrativa dello scontro etnico o religioso, che ha reso più difficile sviluppare soluzioni sostenibili per porre fine alle violenze. Tuttavia, la spiegazione principale del conflitto è senz’altro di natura ambientale, perché è a causa del clima che tutta la regione settentrionale della Nigeria si è inaridita spingendo i pastori sempre più a sud alla ricerca di nuovi pascoli.
Una delucidazione semplice ed esaustiva alle motivazioni che innescano le violenze è sintetizzata dall’arcivescovo di Abuja, cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, il quale chiarisce che «una volta entrati nei campi arati dei contadini, gli animali mangiano le piante e alle volte i contadini uccidono gli animali per impedirglielo, suscitando la rappresaglia dei pastori, che tornano e uccidono i contadini. I pastori sono musulmani e i contadini sono per la grande maggioranza cristiani e la faccenda assume l’aspetto di cristiani che uccidono i musulmani e viceversa. Mentre questo non ha veramente niente a che fare con la religione».
La risposta del governo centrale a tutto questo è stata di offrire soluzioni come la creazione di riserve di pascolo o di “colonie per il bestiame” per i pastori fulani, mettendo loro a disposizione almeno cinquemila ettari di terra, acqua e pascoli adeguati ma la proposta ha subìto varie battute d’arresto ogni volta che è arrivata davanti ai legislatori federali. Mentre le tensioni si sono aggravate dopo che lo scorso novembre lo stato di Benue ha introdotto un controverso provvedimento, che vieta di pascolare il bestiame a causa delle frequenti dispute fra pastori e agricoltori.
La questione sta ora assumendo un’importante valenza politica alla luce delle elezioni del prossimo anno, con il presidente Muhammadu Buhari accusato da più parti di favorire i pastori fulani, sua etnia di appartenenza. Forse in clima pre-elettorale, il presidente nigeriano ha dichiarato di voler riportare il Lago Ciad alla sua capacità originaria deviando il fiume Ubangi nel fiume Chari, al fine di aumentare la portata di quest’ultimo, che è il maggiore immissario del Lago Ciad. Tuttavia, la rivitalizzazione del lago non è ancora stata inserita nella strategia del governo per trovare una soluzione a un conflitto che si va sempre più radicalizzando.