La guerra dei dazi danneggerà anche l’economia africana

Forse per il fatto che il peso dell’Africa sul commercio mondiale supera di poco il 2%, non si è scritto molto sulle pesantissime conseguenze che la guerra dei dazi tra Cina e Usa potrebbe avere sull’economia del continente. Eppure la trade war potrebbe deteriorare in maniera consistente il valore delle risorse minerarie africane, far aumentare il debito verso i paesi occidentali e impattare negativamente sui mercati finanziari locali.

Nel clamore suscitato dalla prospettiva di una guerra commerciale globale l’Africa è praticamente ignorata, probabilmente perché il suo peso sul commercio mondiale supera di poco il 2%. Come è innegabile, che in un continente dove soltanto uno sparuto numero di paesi produce o esporta significative quantità di acciaio e alluminio, gli effetti del ping pong sui dazi dovrebbero essere minimi. Tuttavia, le tensioni commerciali tra i due maggiori investitori del continente – Stati Uniti e Cina – dovrebbero avere diretta rilevanza per le sorti economiche dell’Africa. Inoltre, per le economie africane ci sono da monitorare tre fattori chiave: le prospettive per il dollaro, l’impatto della disputa commerciale sui prezzi delle materie prime e l’andamento dei tassi di interesse negli Stati Uniti.

Tali fattori determineranno come e in quale misura la “trade war” influirà sulle prospettive globali di crescita e quanto inciderà sulle vicende economiche dei singoli Stati africani. Dal punto di vista dell’economia reale, una qualsiasi escalation della guerra dei dazi vedrebbe una riduzione del commercio mondiale e di conseguenza della domanda globale. Un indebolimento degli Stati Uniti e dell’economia cinese produrrebbero conseguenze in negativo sulle catene di approvvigionamento di tutto il mondo.

Tutto questo, si tradurrebbe in una crescita globale più lenta che, a sua volta, inciderebbe sui prezzi delle materie prime, dalle quali l’Africa è fortemente dipendente. Mentre molti economisti prevedono che l’aumento dell’incertezza, dovuto alla possibile introduzione dei dazi di Trump su prodotti strategici come acciaio, alluminio e high-tech potrebbescatenare il panico nei mercati finanziari.

Una maggiore percezione del rischio, derivata dalla portata e dall’entità di nuove tariffe doganali, unita alle successive contromisure prese dai cinesi e dall’Ue, potrebbero innescare forti vendite nei mercati emergenti e negli investimenti a rischio più elevato. Molti paesi africani, con apparati di bilancio deboli e ristrette capacità di reddito, sarebbero particolarmente vulnerabili a un violento sell-off di azioni o di altri beni di investimento. Il panico sui mercati finanziari africani si diffonderebbe rapidamente, con serie implicazioni per le valute locali e i mercati obbligazionari, il che potrebbe comportare un significativo aumentodel debito.

Già, dalla fine di marzo, le azioni africane in valuta locale, penalizzate dalla debolezza del cambio, hanno registrato rendimenti peggiori, rispetto a quelli realizzati dai mercati emergenti nel loro complesso. Per fare un esempio, dall’inizio dello scorso aprile il Rand sudafricano ha perso oltre il 10% del suo valore, mentre nello stesso periodo altre valute africane si sono deprezzate in media del 5%. Nello stesso periodo, anche gli Eurobond, attraverso cui 16 paesi africani finanziano il loro debito pubblico, hanno subito un vistoso deprezzamento con conseguente rialzo del rendimento annuale. Mentre i proventi da esportazione hanno segnato una crescita molto più lenta rispetto all’indebitamento con l’estero, suscitando preoccupazioni in merito alla capacità di rimborso.

Yvonne Mhango, capo economista per l’Africa di Renaissance Capital, prevede che l’area sub-sahariana sarà quella che subirà l’impatto più immediato e più profondo dalla prospettivauna guerra commerciale globale,che sta portando gli investitori ad uscire oltre che dalle materie prime, anche dai cosiddetti mercati di frontiera. Secondo l’economista malawiana, la crescita risentirà dell’effetto frenante del rallentamento del commercio, in particolare nei paesi che esportano energia, metalli e minerali.

Nell’esaminare la questione è interessante citare la politica protezionistica adottata dal Ruanda, che alla fine dello scorso febbraio ha vietato l’importazione di scarpe e vestiti usati provenienti da Stati Uniti e Europa per proteggere le industrie tessili nazionali da quelle che Kigali ha definito «dirompenti politiche di dumping da parte dei commercianti americani». Il provvedimento, che entrerà in vigore dal primo gennaio 2019 in Ruanda, Uganda e Tanzania, mira a favorire lo sviluppo dell’industria tessile locale per arrivare a coprire il fabbisogno in vestiti.

Come era prevedibile, gli Stati Uniti, che esportano circa 124 milioni di dollari di vestiti di seconda mano nei tre paesi dell’Africa orientale,stanno esercitando crescenti pressioni sui paesi africani per bloccarne l’attuazione. Tuttavia, la decisione di Uganda, Tanzania e Ruanda rappresenterebbe una violazione delle misure previste dall’African Growth Opportunity Act (Agoa, Patto africano per la crescita e le opportunità), in particolare quella che riguarda l’eliminazione di barriere commerciali e quella che regola gli scambi tra gli Stati Uniti e gli Stati africani firmatari dell’accordo.

Un centinaio di aziende americane dell’abbigliamento usato hanno reagito al provvedimento chiedendo la revisione di agevolazioni commerciali per migliaia di prodotti africani, esportati negli Stati Uniti senza diritti doganali. Da notare, invece, che il Kenya ha ceduto alle pressioni americane e nel timore di perdere accesso al mercato degli Stati Uniti, suo terzo partner commerciale, ha deciso di non stoppare l’importazione di mitumba, come vengono chiamati gli “abiti usati” nella lingua swahili.

La misura presa dai tre paesi dell’Africa orientale rappresenterebbe un precedente nelle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Africa, che potrebbe indurre a una revisione dell’Agoa. Sebbene, finora, il patto commerciale abbia goduto di un forte consenso bipartisan e per anni ha costituito la pietra miliare della politica commerciale degli Stati Uniti in Africa.

Articolo pubblicato su Osservatoriodiritti.it

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