La crisi in Mali è una minaccia per gli Usa e per l’Europa

Un nuovo report di Critical Threats ha esaminato la situazione in Mali alla vigilia del voto di domenica scorsa. Il quadro che emerge è quello di un paese altamente instabile, dove è ancora in atto un’aspra contesa tra tribù e gruppi etnici per il controllo delle risorse e del potere. Ma ciò che preoccupa maggiormente è la minaccia dei gruppi legati ad al Qaeda e allo Stato Islamico, che investe direttamente Europa e Stati Uniti.

Domenica scorsa in Mali si sono tenute le elezioni generali, delle quali prima di venerdì prossimo non si conoscerà il risultato. Quello che per ora appare certo è che chiunque sarà scelto a guidare il paese si troverà davanti ad ardue sfide, prima tra tutte quella della sicurezza messa sempre più a repentaglio dai gruppi affiliati ad al Qaeda e allo Stato Islamico, che stanno diventando sempre più temibili e letali.

Al delicato tema della sicurezza nel paese saheliano, ha dedicato un nuovo report il programma Critical Threats (CT), il cui focus è concentrato sugli obiettivi degli Stati Uniti nel Sahel. Obiettivi che descritti per sommi capi possono essere riassunti nella sconfitta della minaccia salafita-jihadista, nella lotta alla traffico di esseri umani e nella gestione delle crisi umanitarie.

Nel raggiungimento di questi tre obiettivi, il progetto CT rileva almeno due criticità. La prima consiste nei tagli alla sicurezza e all’assistenza umanitaria in Africa decisi dall’amministrazione Trump; mentre la seconda è insita nel fatto che per affrontare sfide complesse gli Usa si sono affidati a partner deboli, alcuni dei quali sono addirittura annoverati tra gli Stati più poveri del mondo.

Ci sono anche alcune contraddizioni che regolano i rapporti con questi Stati, come nel caso del Ciad, dove gli Usa addestrano le truppe fornendogli anche equipaggiamento militare. Tuttavia, l’anno scorso il Ciad era stato inserito nel famigerato travel ban di Trump, la lista dei paesi a rischio terrorismo i cui cittadini non possono avere accesso al territorio americano.

L’analisi rileva come la minaccia islamistasia estremamente seria e in costante crescita, alimentata dall’espansione in tutta l’Africa occidentale dei gruppi affiliati ad al Qaeda e all’Isis, che sta causando un ampio arco d’instabilità che si estende dal Mediterraneo al Golfo di Guinea e dal Lago Ciad arriva fino al Corno d’Africa. C’è anche da tenere in considerazione il fatto che i gruppi armati prendono di mira gli interessi occidentali nel Sahel, tra cui le ambasciate, le strutture petrolifere e gli alberghi frequentati dai civili occidentali, sebbene non abbiano ancora attaccato direttamente gli Stati Uniti o le nazioni europee.

Gli attacchi sferrati dalle formazioni jihadiste operative nell’area sono sempre più sofisticati e letali, rivelando lo sviluppo di capacità tattiche che potrebbero essere impiegate anche oltreoceano. Tutto questo, determina il rischio concreto che il Sahel, con le sue carenze di governance, i conflitti e le popolazioni socialmente emarginate, potrebbe diventare una base logistica da dove i gruppi salafiti potrebbero colpire in Europa.

La limitata partecipazione occidentale nelle operazioni di contrasto all’insorgenza jihadista nel Sahel e in Mali, in particolare, non è riuscita a invertire questa spirale negativa. Le missione francese sta sostenendo l’impegno militare della nuova forza regionale G5 Sahel, comprendente truppe del Mali, del Niger, del Burkina Faso, della Mauritania e del Ciad. Tuttavia, questo comune impegno finora non è riuscito a impedire l’espansione dei movimenti jihadisti, che operano nel Mali centrale e settentrionale, da dove lanciano attacchi in Burkina Faso.

Le numerose offensive militari contro questi gruppi non sono state risolutive perché non hanno cambiato le condizioni di scarsa governance e posto fine alle lotte per il controllo delle risorse e del potere, che da sei anni affligge il Mali. Neanche l’importante sostegno della comunità internazionale è riuscito a risolvere in minima parte i problemi del paese africano, soprattutto perché non è stato sufficientemente integrato con gli sforzi militari.

L’analisi valuta che un’accresciuta instabilità dopo le elezioni in Mali rafforzerebbe i gruppi estremisti in tutta l’Africa occidentale, consentendo al Gruppo per il sostegno all’islam e ai musulmani (Jnim) e allo Stato Islamico nel Grande Sahara (Isgs) di espandersi in nuove aree del paese. Appare inoltre certo, che i due gruppi estremisti continueranno a utilizzare il Mali come base per l’espansione nei paesi limitrofi con il rischio latente di aumentare il coordinamento con altri gruppi salafiti nella regione, fino ad arrivare a potenziare i legami preesistenti in Libia e Nigeria.

C’è infine da rilevare, che il conflitto civile in Mali potrebbe anche portare a un giro di vite sulle popolazioni emarginate, in particolare la comunità fulani, le cui rivendicazioni hanno trovato terreno favorevole tra le fila dell’Isgs. Emerge quindi chiaramente che l’instabilità in Mali può avere gravi implicazioni per la sicurezza degli Stati Uniti e dell’Europa, soprattutto se consideriamo che le autorità di Bamako non dispongono di meccanismi di difesa e controllo efficaci ai confini del paese.

Articolo pubblicato su Nigrizia.it

Categorie: Terrorismo | Tag: , | Lascia un commento

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