Lo scorso 8 agosto il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ha concesso un’amnistia ai gruppi coinvolti nella guerra civile scoppiata nel dicembre 2013. Un provvedimento che contrasta con gli obblighi internazionali assunti da Juba nel perseguire gli autori delle atrocità commesse durante il conflitto. Mentre il governo di transizione non ha compiuto progressi verso l’istituzione di un tribunale ibrido per perseguire i crimini di guerra.
L’accordo sulla governance firmato lo scorso 5 agosto dal presidente del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, e dal leader della principale fazione armata dell’opposizione, l’Splm-Io, Riek Machar Teny, ha rimesso al centro dei colloqui in Sud Sudan l’idea della condivisione del potere tra fazione ribelle e governativa, concedendo a Machar di riassumere il suo vecchio incarico di vicepresidente.
Per cementare il nuovo accordo di pace, tre giorni dopo Salva Kiir ha concesso un’amnistia all’Splm-Io e ad altri gruppi che sono stati coinvolti nella guerra civile sud sudanese, scoppiata nel dicembre 2013. Un provvedimento che non sembra essere di buon auspicio per il futuro del paese africano e che per le atrocità commesse nel corso dei quasi cinque anni di conflitto contrasta con gli obblighi internazionali assunti dal governo di Juba.
Senza contare che le disposizioni dell’Accordo sulla risoluzione del conflitto nel Sud Sudan (Arcss), siglato il 26 agosto 2015, prevedono un tribunale ibrido per perseguire i crimini di guerra. Ad oggi, però, il governo di transizione sud sudanese non ha compiuto tangibili progressi verso l’istituzione della corte, mentre aspetta ancora di essere approvato dal governo il memorandum d’intesa con l’Unione africana sull’istituzione di un tribunale ibrido, credibile, equo e indipendente, presentato undici mesi fa dal ministro della Giustizia sud sudanese, Paulino Wanawilla.
Il Sud Sudan ha anche ratificato trattati come la Convenzione contro la tortura, che prevede il perseguimento delle persone presumibilmente responsabili di gravi reati. Inoltre, le Nazioni Unite seguono il principio che non possono essere concesse amnistie per gravi crimini ai sensi del diritto internazionale e non approvano gli accordi di pace che prevedono tali amnistie.
Anche la Commissione africana dei diritti umani e dei popoli respinge l’amnistia per gravi crimini, mentre il diritto internazionale prevede il perseguimento dei responsabili di reati gravi, come crimini contro l’umanità e crimini di guerra, per assicurare verità e giustizia ai familiari delle vittime, insieme alla tutela effettiva dei diritti umani a fronte dell’impunità.
Dopo che si è diffusa la notizia dell’ordine presidenziale di amnistia, Human Rights Watch (HRW) ha chiesto che vengano liberati anche i dissidenti politici ancora detenuti nel paese come Peter Biar Ajak, un’economista dell’International Growth Centre della London School of Economics, arrestato lo scorso 28 luglio per le sue critiche nei confronti di entrambe le parti coinvolte nel conflitto.
L’ong newyorchese ha ricordato che da quando è stato firmato l’accordo di pace dell’agosto 2015, ha documentato decine di casi di arresti arbitrari, pestaggi e torture, oltre a numerosi episodi di sparizioni forzate e uccisioni extragiudiziarie, per lo più da parte di forze governative nel contesto di operazioni contro le fazioni ribelli, ma ha registrato anche molti crimini compiuti dai gruppi armati dell’opposizione.
HRW ha infine evidenziato, che i leader sud sudanesi hanno incluso l’amnistia agli oppositori come parte degli accordi di pace, anche prima dell’indipendenza del paese nel 2011. E la conseguente mancanza di giustizia ha contribuito all’approfondimento delle divisioni sociali ed etniche, alimentando violenze e abusi nel paese. Senza contare, che altri casi analoghi in Africa hanno dimostrato che garantire l’impunità a chi si è macchiato di gravi crimini di guerra non è una soluzione proficua per costruire una pace duratura.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it