Un lustro dopo l’attacco al Westgate Mall di Nairobi, un rapporto dell’ICG descrive l’evoluzione di al-Shabaab nei paesi dell’Africa orientale rilevando che da tre anni e mezzo la rete jihadista non ha più realizzato attacchi eclatanti al di fuori della Somalia. Mentre in Kenya, la sua influenza è diminuita e in Tanzania sembra improbabile che si sviluppi un’insurrezione, ma il gruppo starebbe ancora pianificando attacchi su larga scala all’estero.
Cinque anni dopo l’irruzione di quattro miliziani di al-Shabaab all’interno del Westgate Shopping Mall di Nairobi, attaccato a colpi di granate e tenuto per quattro giorni sotto assedio provocando la morte di 67 persone di 13 diverse nazionalità, il gruppo estremista somalo si è spinto lungo la costa orientale dell’Africa fino al Mozambico, mentre a livello regionale la sua minaccia si è ampliata.
Questa la valutazione che gli analisti dell’International Crisis Group (ICG) operano nel loro ultimo Africa Report, pubblicato lo scorso 21 settembre, in occasione del quinto anniversario dell’attacco al lussuoso centro commerciale.
Secondo i ricercatori del think tank di Bruxelles, a distanza di un lustro dalla strage al Westgate, al-Shabaab continua a concentrarsi sull’aumento del controllo del territorio somalo e sull’applicazione della sua variante della sharia, mentre continua ad operare anche in altre parti dell’Africa orientale.
All’inizio, al-Shabaab ha costruito reti per reperire fondi e assoldare reclute. Da notare, che durante questo primo periodo, si è astenuto dal pianificare e portare a termine attacchi, almeno fino al marzo 2007, quando è stata dispiegata in Somalia la missione dell’Unione Africana (AMISOM), una forza regionale istituita per sostenere l’allora governo di transizione somalo.
Al-Shabaab ha così iniziato a colpire ripetutamente i paesi africani che avevano inviato truppe all’AMISOM, primo fra tutti il Kenya. Gli attentati i sono aumentati tra il 2013 e il 2015, spesso minacciando di elevarsi al livello di scontri etnico-religiosi. All’inizio di aprile 2015, un altro grave attacco all’Univerità di Garissa, situata a 150 chilometri dal confine con la Somalia, si concluse con un bilancio pesantissimo in termini di vite umane: 148 morti e 79 feriti, quasi tutti studenti che frequentavano il Campus.
La strage ha provocato una decisa reazione da parte delle forze di sicurezza keniane e una riconsiderazione delle strategie di contrasto all’insorgenza del gruppo, soprattutto lungo la costa e nella zona nord-orientale del Kenya, dove i funzionari locali hanno guidato gli sforzi contro la militanza coinvolgendo anche le comunità e la società civile.
Allo stesso tempo, Nairobi ha delegato potere e risorse ai governi locali, con l’obiettivo di controbilanciare le diseguaglianze e il risentimento delle popolazioni colpite verso il governo centrale. Questo ha prodotto un miglioramento della raccolta di informazioni e, sebbene si registrino pesanti abusi da parte di polizia e forze speciali, il ritmo degli atti terroristici è rallentato.
Dopo l’attacco di alto profilo contro il Westgate Mall, le autorità keniane hanno lanciato un massiccio programma di lotta alle reti jihadiste attive nella regione, costringendole a spostarsi e ad adottare nuove tattiche offensive. Ma la dura repressione ha acuito la frustrazione tra i musulmani del Kenya e favorito il reclutamento nelle fila di al-Shabaab.
L’ICG rileva inoltre che nel corso del quinquennio trascorso dall’assedio del Westgate, al-Shabaab ha approfondito i suoi legami con i militanti islamisti della Tanzania, che nel 2015 hanno intensificato gli attacchi, costringendo le autorità di Dodoma ad affrontare la crescente sfida, operando un giro di vite nei confronti dell’islam radicale.
Tuttavia, alcuni leader religiosi e politici tanzaniani sostengono che le misure troppo coercitive, incluse uccisioni extragiudiziali, rischiano di spingere i giovani nelle braccia dei militanti e di alimentare tensioni inter-religiose.
Infine, l’ICG rileva che dopo Garissa, al-Shabaab non ha più realizzato attacchi eclatanti al di fuori della Somalia. In Kenya, la sua influenza è diminuita, mentre la minaccia di nuovi attentati è diventata meno evidente; mentre in Tanzania, dove la violenza dei militanti islamisti è in aumento, sembra improbabile che si sviluppi in una vera e propria insurrezione.
Ma come suggeriscono le intelligence regionali e occidentali, così come la stessa propaganda di al-Shabaab, il gruppo sta ancora pianificando attacchi su larga scala all’estero. Mentre i suoi rapporti con i gruppi locali, che ruotano principalmente attorno ai legami personali tra i militanti, rimangono poco chiari. E questo è un nodo importante della questione, perché sono questi legami che permettono ad al-Shabaab di palesarsi a livello di potenza regionale.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it
Pingback: Il tragico bilancio di un anno di attacchi terroristici in Africa | AfroFocus