ll governo del Kenya ha annunciato un ritardo per il completamento del primo terminal nel porto di Lamu, che costituisce la parte iniziale del progetto Lapsset. L’ormeggio dello scalo marittimo, che collegherà Sud Sudan ed Etiopia, dovrebbe essere operativo dal giugno prossimo, sei mesi più tardi del previsto, ma il più grande piano infrastrutturale dell’Africa orientale adesso rischia di diventare obsoleto molto tempo prima di essere finito.
Avverrà sei mesi dopo la data prevista, il primo attracco di una petroliera nel porto di Lamu, prima parte del progetto Lapsset (Lamu Port – South Sudan – Ethiopia Transport), un corridoio infrastrutturale di trasporto che una volta completato collegherà il porto keniano con il Sud Sudan e l’Etiopia.
La notizia del ritardo nel completamento della fase iniziale dell’infrastruttura logistica è stata diffusa dal direttore generale dell’autority per lo sviluppo di Lapsset, Silvester Kasuku, il quale ha rivelato che il primo ormeggio a Lamu sarà operativo entro giugno 2019, sei mesi più tardi del termine inizialmente previsto.
Il progetto del porto keniano prevede la costruzione di tre terminal marittimi in acque profonde – e contese in parte con la vicina Somalia -, interamente finanziati dal governo nazionale per un costo di 48 miliardi di dollari. Finora l’opera è stata completata al 55% con l’obiettivo di terminarla entro il 2020.
Il controverso porto petrolifero di Lamu – contestato dalla popolazione locale e dall’Unesco, in quanto realizzato ai margini di una preziosa Riserva di Biosfera – è stato progettato per garantire lo sbocco al mare a Sud Sudan ed Etiopia, ma anche all’Uganda, che ha però poi preferito avvalersi dell’oleodotto tanzaniano per esportare il greggio dai terminal nel lago Alberto.
Tuttavia, nell’ultima analisi pubblicata dal Bretton Woods Project – rete della società civile ospitata da ActionAid -, che ha esaminato in chiave geopolitica la situazione dell’ambizioso progetto, emergono dubbi sulla partecipazione dell’Etiopia che dopo la recente ripresa delle relazioni con l’Eritrea, potrebbe avere accesso al porto di Asmara, riducendo significativamente il suo potenziale di domanda per il porto kenyano.
Secondo l’ong britannica, oltre al rischio di diventare obsoleto prima del suo completamento, il più grande piano infrastrutturale dell’Africa orientale, finora non ha avuto ricadute in positivo sulle popolazioni direttamente interessate.
Uno degli esempi più calzanti per fotografare la situazione in Kenya, è il caso della poverissima (nonostante la capacità delle riserve di petrolio pari a circa 750 milioni di barili) contea settentrionale di Turkana, dove la popolazione locale non ha beneficiato minimamente della costruzione dell’oleodotto da parte della britannica Tullow Oil.
L’oleodotto, che attraversa il territorio del distretto Turkana per il trasporto del greggio fino alla città di Eldoret e, da qui, al porto di Mombasa, ha sollevato le proteste dei rappresentanti delle comunità Turkana, i quali da mesi chiedono maggiori misure di sicurezza nella regione, dove si verificano frequenti episodi di brigantaggio e di furti di bestiame.
Le proteste della popolazione della contea, iniziate alla fine di giugno e terminate a metà agosto, hanno impedito le operazioni di trasporto di circa duemila barili al giorno di greggio dai giacimenti petroliferi della contea verso la costa keniana.
L’impasse è stato sbloccato dopo la sigla di un nuovo accordo tra la compagnia petrolifera britannica e il governo centrale, a garanzia dell’intesa per la ripartizione dei redditi conclusa a maggio tra Nairobi e l’amministrazione regionale di Turkana che entrerà però in vigore entro il 2022, quando la produzione avrà raggiunto la piena capacità.
In effetti, contrariamente a quanto aveva dichiarato prima della realizzazione del progetto Manoah Esipisu, direttore dell’unità di comunicazione strategica del presidente Uhuru Kenyatta, l’oleodotto non ha ancora migliorato la qualità di vita delle persone e dei distretti che si trovano lungo il suo percorso. Il governo di Nairobi tuttavia è convinto che il Lapsset permetterà lo sviluppo del nord del Kenya, rendendo accessibili le enormi risorse petrolifere e le gigantesche falde idriche sotterranee scoperte di recente.
È anche innegabile che siamo ancora alle fasi iniziali del progetto, che oltre la costruzione del porto, di una raffineria – sempre a Lamu – e di due oleodotti per l’esportazione del greggio dall’Uganda e Sud Sudan, comprende una ferrovia a scartamento normale di 1.500 chilometri che collegherà Lamu a Nakodok, lungo la frontiera tra Kenya e Sud Sudan, tre aeroporti e tre centri turistici nelle città keniane di Isiolo, Lodwar e Lamu.
L’Africa orientale ha assoluto bisogno di portare avanti il Lapsset per imporsi quale area in ascesa nel panorama economico africano, ma dovrà riuscire a realizzare i potenziali cambiamenti che il progetto può generare in materia di integrazione regionale, di ricchezza e di opportunità, preservando allo stesso tempo l’ambiente, i diritti ed i mezzi di sussistenza delle comunità, che sono state espropriate delle loro case e delle loro terre per costruire le infrastrutture. Alcune volte con indennizzi più o meno simbolici.
Articolo pubblicato su Nigrizia.it