Il ruolo delle donne all’interno di al Qaeda nel Sahel

Un nuovo report dell’Istituto di studi sulla sicurezza (Iss) analizza il ruolo delle donne all’interno del Gruppo per il sostegno dell’islam e dei musulmani (Jnim), sigla che nel marzo 2017 ha riunito in unico cartello i gruppi estremisti affiliati ad al Qaeda attivi nel Sahel. L’analisi rileva che le donne del Jnim svolgono ruoli di supporto come informatrici, lavandaie cuoche, ma a differenza di Boko Haram, non vengono utilizzate come kamikaze.

Recenti rapporti hanno focalizzato il ruolo delle donne all’interno del gruppo terrorista Boko Haram, basandosi sulle numerose testimonianze di ragazze rapite dai jihadisti nigeriani. Queste giovani, dopo essere riuscite a sottrarsi allo stato di schiavitù nel quale le avevano relegate i seguaci del movimento armato, hanno raccontato di essere state arruolate con la forza, mentre alcune di loro sono state costrette a immolarsi come kamikaze per compiere attacchi suicidi.

Tuttavia, le donne non sono state sempre costrette con la forza ad unirsi a Boko Haram: il loro coinvolgimento all’interno dell’ex setta risale infatti ai primi anni del 2000 e fu deciso dal fondatore del gruppo, Ustaz Mohammed Yusuf. L’ideologo sunnita avrebbe adottato questa strategia per un duplice motivo: l’ampliamento dell’appartenenza e la possibilità per le donne di diventare mogli dei combattenti di oggi, nonché madri di quelli di domani.

Naturalmente, l’apertura all’arruolamento femminile da parte di Yusuf era anche volta ad incoraggiare gli uomini ad unirsi al gruppo. Poi, sotto la guida di Abubakar Shekau, subentrato a Yusuf dopo la sua morte nel luglio 2009, Boko Haram ha iniziato a rapire donne e ragazze, sequestrando nel solo biennio 2014-2015 oltre duemila giovani. Alcune di esse sono diventate attentatrici suicide.

Una scelta operata dagli estremisti sulla base del fatto che le ragazze attirano meno sospetti e possono accedere più facilmente agli obiettivi prescelti. E i dati a riguardo sono assai eloquenti: tra aprile 2011 e giugno 2017, il gruppo ha effettuato almeno 434 attacchi suicidi, oltre la metà dei quali (244) sono stati eseguiti da donne.

C’è da precisare che dopo la scissione del gruppo, nell’agosto 2016, la fazione fedele allo Stato Islamico (Provincia dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale – Iswap) guidata dal presunto figlio di Yusuf, Abu Musab Al-Barnawi, per compiere attentati suicidi, finora ha impiegato solo uomini. Tuttavia, in futuro non è da escludere un coinvolgimento delle donne in azioni kamikaze anche da parte di questa cellula.

Questo, in estrema sintesi, quanto accade all’interno del più temibile e letale gruppo jihadista nigeriano. Molto meno è invece conosciuto sul ruolo della componente femminile all’interno del Jnim (Gruppo per il sostegno dell’islam e dei musulmani), sigla che nel marzo 2017 ha riunito in unico cartello i principali gruppi estremisti islamici del Sahel, portando a termine numerosi e sanguinosi attacchi suicidi in Mali, Burkina Faso e Niger.

Secondo un’analisi di Ella Jeannine Abatan, ricercatrice presso l’Istituto di Studi sulla Sicurezza (ISS), con sede a Pretoria, le donne sono presenti anche del JNIM, nel quale svolgono ruoli di supporto come informatrici, lavandaie e cuoche. Un coinvolgimento certamente meno diretto rispetto a quello che hanno all’interno di Boko Haram. Ma la differenza sostanziale è che gli estremisti della branca di al-Qaeda nel Sahel non contemplano l’utilizzo di donne kamikaze.

E quando gli è stato attribuito l’impiego di ragazze nel compimento di attentati suicidi, la branca qaedista saheliana ha seccamente smentito, come accaduto lo scorso 14 aprile, quando il gruppo ha rivendicato la responsabilità dell’attacco contro la base militare nei pressi dell’aeroporto di Timbuctu – conosciuta come Super Camp – dove sono di stanza le truppe internazionali della Minusma e quelle francesi dell’Operazione Barkhane. Dopo l’eclatante attacco, il comandante generale della Barkhane, Bruno Guibert, ha riportato la notizia del coinvolgimento di una donna kamikaze nel corso dell’azione.

Due settimane dopo il Jnim ha smentito quanto affermato dal generale Guibert. Lo ha fatto con un comunicato in cui spiega che nella sua dottrina, le donne non partecipano alle operazioni militari e aggiungendo che le nazioni musulmane hanno ancora abbastanza uomini pronti a combattere. A differenza della fazione di Boko Haram capeggiata dal sanguinario Shekau, il Jnim non ha utilizzato le donne negli attacchi suicidi.

Tale orientamento potrebbe essere spiegato con la volontà del gruppo estremista di mantenere il sostegno delle popolazioni locali, allineandosi al rispetto del ruolo generalmente attribuito alle donne nelle patriarcali società islamiche. Ciononostante, un recente rapporto dell’ISS ha rilevato che le donne hanno svolto vari ruoli di supporto attivo nel compimento di attentati.

In conclusione, emerge che le mansioni attribuite alle ragazze e alle donne nell’estremismo violento hanno importanti vantaggi strategici e operativi per i gruppi jihadisti. Ma per prevenire e contrastare l’arruolamento è prioritario non solo individuare le funzioni che hanno, ma anche le ragioni per cui sono incluse o escluse all’interno di un’organizzazione terrorista.

Articolo pubblicato su Nigrizia.it

Categorie: Terrorismo | Tag: , | 1 commento

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